Libri di Andrea Temporelli

E l’esito non è rappacificante (di Giuliano Ladolfi)

l’ardore giovanile cede il posto ad un rapporto più ampio, più contraddittorio, più sofferto

La silloge di Andrea Temporelli costituisce lo sviluppo tematico della sua prima pubblicazione Il cielo di Marte (Borgomanero, Atelier, 1999). Se nella raccolta dello scorso anno egli ha rivissuto i momenti della sua formazione poetica e letteraria, ora avverte le necessità di risolvere o, almeno, di chiarire questa bruciante materia che, comunque la si rivolga, risulta sempre magmatica. Non deve ingannare il tenace vigore stilistico, frutto di una lunga lotta con la parola, né la maestria del ritmo e della scansione che ne piega il valore fonosimbolico a significati suggestivi ed emotivi.

Ci troviamo di fronte alla realtà, all’interno di un ospedale, in cui egli cura le «ferite» della vita, ferite ontologiche prima che sentimentali e letterarie. Su di esse, come l’amico Sergio medico di professione, non si piega con l’occhio di giudice, ma con la preoccupazione ansiosa di chi si rapporta con i malati addossandosi in toto la responsabilità della vita e della morte. La metafora del medico-poeta che nel bisturi possiede il mezzo per ridonare la vita o per uccidere, già presenti nella precedente raccolta, trova la sua attuazione più completa in senso estensivo ed intensivo. La poesia è vita per il giovane autore, ma anche segno di contraddizione nella tensione esistenziale tra il desiderio e il limite del dire, tra la consapevolezza della straordinaria potenza della parola e il pericolo di tradirla, tra l’insopprimibile desiderio che lo spinge verso la letteratura e la necessità di dover per essa sottrarre tempo ed energia agli affetti più cari.

Pertanto l’ardore giovanile cede il posto ad un rapporto più ampio, più contraddittorio, più sofferto. Da un tale tormento scaturisce l’urgenza irrefrenabile di confrontarsi (non è un caso che tutte le liriche presuppongano destinatari: alcuni citati, altri sottesi), di conoscere se anche per gli altri scrivere versi significhi «vivere la vita fino in fondo». La sofferenza della creatività poetica si insinua nelle viscere del gruppo di giovani (ne è spia l’uso del plurale) «fedeli all’opera comune».

Da questa tormentata ricerca nascono momenti stilistici diversi: il tono confidenziale, la persuasione autoconvincente, la metafora, l’aforisma sapienziale saldamente ancorato al concreto. Il poeta constata che «l’arte di fare un mestiere d’amore» è molto più ardua di quanto non abbia supposto e consuma dentro di sé la sofferenza gozzaniana di «fingere d’essere ciò che non sono». Capisce che, nonostante ogni tentativo, la sfera della letteratura è in attingibile alla pienezza dell’esistente, per cui non rimane che capronianamente «imbrogliare le carte». E allora si “cospira” in gruppo quasi per dividersi i sensi di colpa nel dichiarare la fine del Novecento, mentre la tragedia urge alle porte della coscienza: in Turchia si scava tra le macerie del terremoto.

La partita non si gioca più come nel Cielo di Marte tra i giovani poeti e i loro “padri”, la partita è sentita come tremenda responsabilità soprattutto per chi tra i «topi di palazzo» vuole mantenersi come «Parsifal. Folle e puro». E tale responsabilità viene avvertita nei confronti delle future generazioni, dei bambini affidati alle cure dell’autore, per cui sente la necessità di un conforto in questa missione che richiede sincerità e trasparenza: «ma dimmi come / sarà ancora possibile insegnare / qualcosa di vivo / ani nostri piccoli alunni». Ci troviamo di fronte ad un vero e proprio Esame di coscienza di un letterato: come Renato Serra, Temporelli sul Carso della civiltà contemporanea si accorge con dolore della distanza tra il giovanile “interventismo” letterario e la triste realtà desertificata da una cultura alle prese con una “svolta” epocale.

E l’esito di questo tormento non è rappacificante: «Mio bene, ti tradisco tutti i giorni […]. / Insegno con vergogna», perché l’amore per la poesia è talmente divorante da consumare le energie psico-fisiche dell’autore: versi ardui e sofferti, sillabati in un mondo in cui l’omologazione del pensiero con difficoltà permette di porsi domande. Non eventi catastrofici come le due guerre mondiali e neppure ideologie politiche spingono il poeta ad interrogarsi sul proprio operato, Temporelli fa i conti con la vita, la sua vita, fatta di sogni, di programmi, di amicizie, di successi, di persone, per cui il tratto che lo distingue da analoghe indagini contemporanee è la dimensione spiccatamente morale che lo induce a soffrire nella sua carne la tragedia di essere poeta

(Giuliano Ladolfi, «Atelier», V, 17, apr. 2000, p. 26)

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