Ottanta voglia di poesia
(L’opera scelta come copertina è di Eleonora Mazza.
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Era il dicembre 2010 quando scrivevo ciò che segue, cercando il confronto con la generazione successiva alla mia…
I registi moderni non sanno che sulla scena bisogna vedere il buio.
Karl Kraus
Se, come ci dicevamo in apertura del numero precedente, l’attenzione che il mondo editoriale riserva ai giovani nel settore della narrativa nasce spesso da calcoli economici e da strategie di marketing (senza ovviamente con ciò stesso pretendere di leggere il fenomeno in un’ottica solo negativa: starà all’autore avvantaggiarsi delle opportunità e compiere le proprie scelte radicali in modo consapevole, restando all’altezza degli scopi che si è proposto, senza lasciarsi disinnescare dal contesto), la giovinezza di uno scrittore è una risorsa preziosa per il carico di azzardo, di entusiasmo, di progettualità e di innovazione che essa, nei casi migliori, porta con sé. E, proprio perché maggiormente negletto, l’ambito della poesia resta il migliore per valutare la reale consistenza delle nuove proposte. A quel che ci risulta, però, si registra un calo d’intraprendenza, rispetto a qualche anno fa, tra i trentenni d’oggi. All’ondata di antologie dedicate ai giovani nati negli anni Settanta, infatti, non si appuntano ancora risposte dai più giovani, mentre se ne erano registrare a ritroso, se non con iniziative corali, con singole assunzioni di responsabilità da parte di quelle voci che dovevano riscattarsi, in extremis, dal limbo.
Meno male, dirà qualcuno, vista l’insana inflazione editoriale precedente. E sia pure; lungi da noi l’auspicio di un nuovo profluvio di antologie di trentenni solo per replicare un fenomeno senza interrogarsi sulle ragioni endogene del medesimo. Qualche timido e precoce tentativo, in tal senso, è stato anzi già fatto, e anche noi di «Atelier» ci eravamo a nostro tempo interrogati sulla sensatezza di un eventuale investimento di attenzione nei confronti dei più giovani (ma eravamo giunti alla conclusione che il primo passo non dovesse spettare a noi e che fosse meglio spezzare il trend editoriale fine a sé stesso). L’aspetto su cui interrogarsi, semmai, è che tutta quell’inattesa esplosione d’interesse rispondeva anche all’audacia dimostrata da tanti giovani attraverso riviste, festival, blog e molteplici iniziative culturali, che sembrano venir meno se l’analisi si sposta ai ventenni-trentenni di oggi.
Immaginiamo già la pletora di pedagoghi lesti a parlare di generazione di bamboccioni, di giovani indefiniti che non hanno voglia di rinunciare alle comodità di casa e di rispondere alla domanda intorno alla loro identità: lettura troppo facile perché colga nel segno. Del resto, qualche nome si potrebbe anche tentare per smentire l’assunto di partenza (Davide Nota, Massimo Baldi… e poi? Prosegua chi, a questo punto, è maggiormente aggiornato), ma la disparità rispetto alla narrativa si mostra ancora una volta impressionante. Non si tratta, evidentemente, di paragonare la visibilità e il prestigio dei secondi con quello dei primi (da Castelporziano in poi, la sperequazione tra narrativa e poesia è consustanziale all’editoria), ma di ritrovare, su piani differenti, una medesima operosità e indole.
È forse prematura ogni valutazione e un discorso così spalmato resta troppo generico per misurare effettivamente la realtà, ma precisato tutto ciò non è forse inutile registrare un silenzio ambiguo che, ora come ora, corrisponde alla mancanza di interlocutori, e si intenda di interlocutori fortemente critici e autonomi. Il che potrebbe anche significare che tutto ciò che finora è stato realizzato in poesia da quelli della mia generazione non suscita risposte perché, semplicemente, merita indifferenza. È un’ipotesi che è giusto affrontare con serenità, proprio perché, ormai, giovani non siamo più, e per primi pretendiamo che nessuno faccia sconti a nessuno, come non lo facevamo già tra di noi. Ma potrebbe anche darsi che la spina dorsale dei fratellini sia più fragile, o che il declino della poesia nel nostro mondo sia davvero irreversibile per quanto, da queste parti, non si voglia ancora gettare la spugna.
Ciò detto, non resta che tendere i sensi e continuare, a testa bassa, a lavorare, come se qualcuno, là davanti, ci fosse; purché si veda anche il buio. Gli orizzonti sono incerti, forse ci sono occhi nascosti nell’ombra, forse no: lasciamo che il problema sventoli a mezz’aria. Il vento, magari, cambierà all’improvviso.
Nessuno ha niente da ridire, là fuori?
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