Non appartengo all’epoca

Sia ribadito ancora: non appartengo a questo mio tempo, o quantomeno al racconto che l’epoca sta elaborando di sé stessa. Ciò che la storiografia va registrando è un falso storico, a tutti livelli: sia in ambito politico, dove assistiamo allo show di mille replicanti del Novecento, vuoti fantocci anacronistici; sia in ambito letterario, dove ciò che il mercato veicola non ha più nulla a che fare con la tradizione, dispersa e sotterranea, che alimenta ciò che resta della letteratura.

Ma questo tirarmi fuori non è un gesto di resa, anzi, è un assalto. I conti con il mio tempo li ho chiusi con il mio romanzo e con i miei smarcamenti. Ora agisco con pazienza e con gioia. Non è questione di confidare in un’utopica palingenesi; non è questione di credere che il tempo sarà galantuomo. Semplicemente, non c’è scelta: si tratta di aderire all’inevitabile, ai fermenti di una nuova epoca che già fibrillano, misconosciuti e sparsi.

Non li sentite anche voi? Non siete anche voi già sprofondati in una vostra personale profezia privata?

 

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