Tra invettiva e sentimentalismo (di Sandro Montalto)
lontano dall’esaltare la tradizione e la sua retorica trova un delicato equilibrio tra invettiva e sentimentalismo
Andrea Temporelli (1973) presenta una silloge che affronta direttamente il problema del fare poesia, la questione dello scrivere che può con la sua forza anche portare al male («Ti giuro c’è chi scrive / per uccidere»), del bisogno di una ritrovata dimensione morale e di un impegno politico latamente inteso: «Avere molto scritto / conta poco. Serve ascoltare sempre / sotto tutti i governi / quando la voce viene come un tuono». Fra dichiarazioni di amicizia verso chi ha lavorato per modificare il concetto di letteratura, di delusione verso i “padri” poetici che diventa appello ai coetanei (e qui, dove tutto si fa show, una certa ironia si fa strada), rievocazioni di esperienze personali come le vicende familiari o il servizio civile, il poeta dimostra di fare affidamento su una parola che pur essendo irrimediabilmente polisemica (egli è cosciente della mobilità del reale) vuole riportare ai fatti e alle cose, e lontano dall’esaltare la tradizione e la sua retorica trova un delicato equilibrio tra invettiva e sentimentalismo.
(Sandro Montalto, «Hebenon», V, 5, apr. 2000, p. 90)
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