Come scritti su un lucido vetro ghiacciato (di Roberto Roversi)
La voce e il tempo a me pare un testo centrale, per intendere e riflettere; direi, anzi, il centrale.
La voce e il tempo a me pare un testo centrale, per intendere e riflettere; direi, anzi, il centrale. Rigorosamente denso, cioè riflessivo ma anche affabile, retto sulla punta delle dita e lavorato con estrema affidabilità. Il risultato, a mio parere, è eccellente; e accoglie, assemblandoli, i due aspetti, direi i due momenti di questo autore che ha già buona sapienza di scrittura; e vale a dire, la riflessione della testa e la riflessione, spesso acuta, degli occhi; non, e per sua fortuna considerando i contesti, la riflessione del cuore. La testa, dico io, per i pensieri che si smuovono avvinti ma senza precipitazione; gli occhi, perché si ha il riverbero (come un soffio) continuo di un movimento rapido dello sguardo, a cercare gli oggetti, le cose, direi il palpito di polvere che indugia sugli oggetti, sulle cose – inseguito da “quella voce dal suono familiare, che a ore / lo seguiva”. Le cose, gli oggetti, sembrano essere sul punto di spogliarsi, come a dire, svelarsi “con gesti calmi e perfetti”: quindi con un moto che non suscita offesa ma, al contrario, predispone a una indagine, a una visitazione sempre più accurata e quindi, in conclusione, emozionante. Ecco, anche il dato dell’emozione soprassiede al moto (al volgersi) di questi testi, molto accentrati (ripeto) e via via sempre più articolati nell’intreccio, a cui ho già accennato, di situazioni d’esistenza contrapposte – e che sono lucidamente indicate (direi, catturate e fissate) – in due versi esemplari della “favola” e che mi risultano, al fine di intendere, molto determinanti: “mentre una mano spoglia la distanza / fra la gioia e il dolore, senza fretta”. Anche quel “senza fretta” è un esplicito (se non sbaglio) invito al lettore per una concreta e diretta individuazione critica. L’attenzione che non si placa mai; che non tende placarsi; e quel costante bisogno fa ripercorrere le cose con gli occhi per esplorarle più a fondo e, sul momento, per far scivolare via la polvere, come ho già detto, e farne risaltare, risvegliandole dal sonno della memoria (o della vita), le disperse bellezze. Quanto dico, può essere convalidato anche, per un rapido invio tecnico, metodologico, da un controllo sull’aggettivazione (che corrisponde, a mio giudizio, sempre, ai container instivati su una nave); quasi opprimente, anzi esigua. Una secchezza agile. Una aggettivazione di definizione (“multiforme, industriale, immortale, irreversibile, reale”), mai o quasi mai di decorazione. Questi testi, dunque, a me arrivano come scritti su un lucido vetro ghiacciato. Appena appannato dal fiato. Da un respiro.
(Roberto Roversi, Dieci poeti, a c. di M. Clementi, Bologna, Pendragon 2002, pp. 115-6)
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!