La fine del “novecento” (di Giuliano Ladolfi)
Il risultato fonde in modo originale tradizione e contemporaneità
La produzione poetica di Andrea Temporelli (1973) ha suscitato l’attenzione di autorevoli critici come Giovanni Raboni e Roberto Galaverni. Con lui il processo di distacco dal “novecento” appare giunto al termine. La sua poesia, nata e coltivata nel respiro di «Atelier», si radica su un’acuta consapevolezza artistica maturata in un decennio di attività di critico. Non è un caso che la prestigiosa “bianca” di Einaudi abbia tenuto a battesimo il suo esordio poetico, Il cielo di Marte (2005).
Il risultato fonde in modo originale tradizione e contemporaneità. Se il Novecento ha visto l’affermazione del verso libero per un’esigenza di avvicinare il parlato alla poesia e se la fine del “novecento” ha comportato, con un’operazione di semplice maquillage, un ritorno alla metrica per ridonare nobiltà alla parola appiattita dalla quotidianità, egli armonizza metrica e rime con l’andamento discorsivo atto a ritirare la vita. I suoi testi, composti secondo gli schemi delle canzoni, depurati da ogni carattere aulico e retorico, hanno recuperato la freschezza della comunicazione. Consideriamo solo una stanza, tratta da Indagine domestica:
Trattarla bene occorre questa soglia
che non offre riparo
perché ovunque dimora la memoria
e anche l’ospite ignaro
che aggiunge la sua polvere sui fogli
che sono muri senza più segreti
scrive un’unica storia.
Ci sono spifferi di vento, sale
la luce dalle scale –
turba le stanze, tradisce i divieti.
Chi legge questi versi senza badare agli “a capo”, scorda le le rime e la metrica; gli rimarrà nella memoria solo un ritmo melodico, catturato dal fascino della descrizione. Eppure la stanza è strutturata secondo il seguente schema metrico: AbCbADcEeD. La strofa è divisa in fronte con il primo piede (Ab) e con il secondo piede (Cb) e sirima con prima volta (cE) e seconda volta (eD) in mezzo in funzione di duplice chiave due versi (AD), il primo del quale rima con l’endecasillabo iniziale e il secondo con l’endecasillabo finale. Ne deriva un’unità stilistica metrica e formale di impareggiabile valore.
Si grida al miracolo quando si scova una raccolta di sonetti o un libro scritto in terzine che si aggira tra zeppe, mescolanza di linguaggio aulico e quotidiano, troncamenti e rime forzate che scandiscono ossessivamente il dettato poetico. In Temporelli il discorso fluisce limpido. Nei versi citati solo l’inversione iniziale rappresenta uno scarto dalla struttura colloquiale.
Eppure ogni composizione cela tutta una serie di rimandi, di significati diversi, di luoghi polisemici talmente dissimulati che il lettore potrebbe anche non accorgersi. Il titolo stesso Il cielo di Marte può essere interpretato in diversi sensi: in senso astronomico, come suggerisce l’ultima lirica, in senso dantesco come il luogo dove sono posti gli spiriti che ricercarono in terra gloria e onori oppure come riferimento alla militanza esistenziale o all’esperienza di obiettore o anche come riferimento al nome del poeta stesso (da non confondere con lo pseudonimo letterario). E questo è solo uno dei segni disseminati all’interno della raccolta. Non mancano, infatti, prove di scoperto lavoro linguistico in cui la «chimica grammaticale» viene posta al servizio di se stessa, come troviamo in Sillabe comete, dove “spaccano” fa rima con “H”, in un intreccio di rimandi fonici, perché «ci chiamano / senti?, i segni, sono solchi e sognano / di noi».
Ugualmente il linguaggio, pur presentando un andamento volutamente colloquiale, viene piegato ad esigenze diverse: sa essere tenero nei versi d’amore, descrittivo dei luoghi, epico-appassionato negli ideali, narrativo nei fatti, sentimentale negli affetti, tagliente negli interventi, ma sempre sobrio e mai retorico. La parola, sempre «chiara e forte», riallaccia il contatto con il reale, un reale quotidiano, sostanziato da un’esistenza appartata, dominata dai valori dell’amicizia, dell’amore coniugale, della paternità, della passione letteraria, della professione di insegnante.
Questa letteratura
puzza di pesce marcio. Se hai già morso
il tuo fiato è segnato
I versi tratti dalla prima lirica Diceria del poeta costituiscono un vero e proprio programma letterario. Temporelli non si è lasciato contaminare dal “novecento”, pur presentando precisi legami con Vittorio Sereni e con Mario Luzi. Egli lo ha “attraversato” e ne ha decretato la fine non solo sulle pagine della rivista, ma con questa pubblicazione. Il lutto è finito e allora canta non più il “male di vivere”, ma l’amicizia con Sergio, un amico medico che gli confida l’angoscia di sentirsi impotente di fronte alla morte, la casa, la sua casa di S. Maurizio d’Opaglio con il giardino, le stanze, i libri, i quaderni, i ricordi, quella casa che ha respirato l’atmosfera dei suoi sogni infantili e adolescenziali, che ha accolto la sua sposa e che ora ospita il figlio
Ha passione di te
la casa, mentre resti genuflesso
di fronte al buio trepido che attende
dentro l’ultima stanza
che il viaggio si completi.
Nitida risplende l’immagine della maestra elementare, che amava dipingere «la scala sgangherata / che sale senza appoggi», da cui ha imparato il mistero dell’arte. L’indagine poi si sposta sull’esperienza letteraria, vissuta come splendida amicizia, ma anche come consapevolezza di aver intrapreso con responsabilità un lavoro capitale: «Uno direbbe che quei tre seduti / al tavolo del bar / siano sul punto di giocarsi l’anima» e se la giocano veramente, perché «i topi di palazzo incolumi» non potranno ignorare il lavoro di questa generazione “decisiva”.
La donna di Temporelli non è una Laura e neppure una Beatrice, figure irraggiungibili e idealizzate, è la sposa («e tu dormi un po’ male in questa casa / non più straniera e non ancora tua»), è la moglie con la quale sogna «che intorno […] bambini a frotte esultino», con la quale vive la gioia della paternità durante la visita dal ginecologo:
[…] Dallo schermo
emerge un volto dai tratti non chiari.
Lacrima l’occhio – non per le scintille
di ieri, ma per il bene.
Non manca il riferimento alla storia di famiglia: Italia ’57 (una fotografia) annoda la vicenda del padre con quella del poeta («Padri e figli così stanno fissati / insieme ad una brida, / attorno al tornio girano le vite / o in fonderia»), che racchiude le vicende dei lavoratori, i quali con un onesto lavoro hanno contribuito allo sviluppo e al benessere della zona.
E poi la scuola, la professione di insegnante: nella Richiesta d’aiuto a un maestro elementare passione educativa, coscienza della delicatezza del lavoro si uniscono ad una commossa trepidazione per la crescita delle giovani vite:
dimmi come
sarà ancora possibile insegnare
qualcosa di più vivo
ai nostri piccoli alunni, da fare
piena la valle di uomini capaci,
dico capaci di sbagliare.
La grande storia si fonde con la storia personale di un giovane che cresce nella società postmoderna con un mondo di valori ed un fardello di trepidazioni.
Con un colpo netto viene definitivamente azzerato ogni residuo di lirismo romantico auto centrato, come pure ogni tensione ontologica e autoreferenziale del linguaggio con tutte le tentazioni neo-orfiche o mito moderniste, perché il poeta si inserisce in quel processo di riscoperta del reale che permette un allargamento di orizzonti verso una poesia intimamente “politica”.
In Temporelli il recupero del legame parola-realtà non avviene per processo retorico, ma per esigenza morale e per concezione filosofica fondata sulla fiducia nei confronti della parola e nei confronti della portata conoscitiva dell’arte, cui è delegato il compito di rappresentare la contemporaneità. Il suo principale merito consiste proprio in una scrittura poetica che nel potenziamento della componente fonico-simbolica non si estranea dalla vita, ma ne dilata la rappresentazione in una pluralità di significati che trovano nell’esperienza l’elemento catalizzatore di senso.
(Giuliano Ladolfi, Estetica e poetica “oltre il novecento”, «Atelier», XIV, 53, mar. 2009, pp. 20-41, paragrafo Andrea Temporelli: la fine del “novecento”, pp. 38-41)
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