Marco Merlin, Nel foco che li affina (2009)

L’equivoco (di Paolo Febbraro)

Ma allora, oggi, chi è Marco Merlin?

È uno dei temi di riflessione che ha destato la lettera che Marco Merlin (inserito, come ci sembrava opportuno, nella schiera dei poeti-critici) ha voluto unire alla scelta dei suoi poeti. La lettera è da Nisini riprodotta per intero in Appendice all’Inchiesta, ma qui ne cito alcuni stralci: […]

La lettera è notevole per alcuni aspetti. Per cominciare, la fatica che Merlin ha provato nel tenere assieme le due attività di critico (esercitata col nome di Merlin, appunto) e di poeta (svolta sotto il nome di Andrea Temporelli): fatica deposta con soddisfazione a favore di Temporelli. Ma allora, oggi, chi è Marco Merlin? È diventato soltanto Temporelli? O quando invece si firma Merlin è un ex-critico che ancora oggi dirige una rivista militante come «Atelier» (e dunque pur sempre un critico)? Sulla fatica di essere poeta e anche critico, Merlin è più che comprensibile. Sulla soddisfazione di abbandonare uno dei due ruoli, si affollano i dubbi.

Tanto più che Merlin denuncia una situazione di «stallo interpretativo», e vi reagisce non sottraendosi a un’inchiesta che pur non lo entusiasma, e soprattutto operando delle scelte che avverte come estremamente selettive. Da dodici nomi – che in realtà sono poco meno di quelli scelti in media dalla categoria dei poeti-critici partecipanti all’inchiesta. Dove però il discorso di Merlin appare più controvertibile è negli apici finali delle sue Premesse, quando afferma (scapigliatamente) che tempo una settimana la scelta avrebbe potuto essere diversa (davvero i poeti sono così volatili nelle scelte? Non sono invece più verticali, idiosincratici, a volte persino ossessivi?); e principalmente quando dice che «rispondendo da poeta, non reputo gli autori che indico “rappresentativi del panorama di questi anni”, ma utili semmai a me stesso per uscirne; ovvero, se fossi un critico, farei altri nomi, da poeta mi nutro di erbe qualche volta amare da cui so però di ricavare succhi vitali».

Forse per una comprensibile, ma non giustificata euforia, qui Merlin divide troppo nettamente le scelte del poeta da quelle del critico, cadendo in un equivoco. Chi è un critico, infatti, se non colui che leggendo sente a volte di ricavare succhi vitali, e dunque si mette a scrivere per chiarirne l’origine e la natura? Perché dobbiamo attribuire al critico (non sto parlando dello storico della Letteratura) una volontà, o un desiderio, o una vocazione diversi da quello di reagire vitalmente (con la vita dell’intelligenza e della memoria) a un evento artistico? Perché il critico si dovrebbe sentire in dovere di assumere il compito di rappresentare un panorama da cui vorrebbe fuggire? È come se, da critico, io contribuissi a edificare un’antologia in cui non credo davvero, solo per ragioni di rappresentanza. Ma rappresentanza di cosa? Dal mio punto di vista, un autore che fornisce succhi vitali, anche amari, è rappresentativo. Di fronte a questo Merlin dimidiato, invece, siamo autorizzati a immaginare che i dodici autori da lui nominati non siano, chissà perché, criticamente all’altezza. Sono nutrienti, ma solo per un poeta, che per giunta, in quanto tale, potrebbe cambiare idea fra una settimana.

Dando le dimissioni da critico militante, Merlin sembra dare adito a un irrazionalismo lungamente represso, a un’eruzione di felice arbitrarietà. È un problema psicologico individuale, o un evento culturale? La fatica del poeta-critico odierno è un dato necessario, o la temperie attuale congiura a che sia insostenibile, o almeno non augurabile?

(Paolo Febbraro, Editoriale, in Poesia 2009. Quattordicesimo annuario, a c. di P. Febbraro e G. Manacorda, Roma, Gaffi 2009, pp. 44-47)

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