Il cielo di Marte (Einaudi, 2005)

Danzare sul terremoto. Intervista di Davide Brullo

Il mondo, quando scocca la poesia, è una membrana che vibra, attorno alla domanda. Tutto il mondo, e in esso tutto il bene e tutto il male, sono un infinito, imbarazzante donativo, che scuote la nostra psiche, la risucchia nei suoi gorghi, la costringe a danzare sul terremoto.

La poesia è per te un’arma conoscitiva, una vanga per capire cosa sei, cos’è l’uomo?

Cos’altro potrebbe essere? Ogni verso nasce mettendo in dubbio ogni superficie, interna ed esterna, tangibile e immateriale. Il mondo, quando scocca la poesia, è una membrana che vibra, attorno alla domanda. Tutto il mondo, e in esso tutto il bene e tutto il male, sono un infinito, imbarazzante donativo, che scuote la nostra psiche, la risucchia nei suoi gorghi, la costringe a danzare sul terremoto.

La letteratura va utilizzata come forziere “mistico”, capace di sprigionare risposte (che poi sono perpetue contraddizioni)? Voglio dire: leggere Beckett, Kafka, Rilke significa penetrare in una tensione simile a quella che si respira nei testi sacri…

Leggere serve a dislocarsi, a entrare nella condizione della poesia, facendo appunto vibrare ogni costa, accendendo la morte dentro la vita — perché la vita non sia morte. Leggere è dunque un dramma, talvolta. Spesso si apre quel forziere disperati, sapendo che spesso più che risposte si troveranno domande.

E se invece la poesia, dalla duratura bellezza ma fragile come un fiore, non rimandasse ad altro che a se stessa? Se lo stesso affanno di “cercare un senso” fosse una menzogna?

Questo è il dilemma costitutivo della vita intera e di ogni attività umana, dentro la vanità delle vanità. Ogni cosa in poesia non può che rimandare a sé stessa. In poesia non esistono nomi comuni, in essa tutte le parole sono un nome proprio. La speranza è che al canto di quei nomi le cose rispondano, il senso si manifesti, nel suo puro esserci: muto. Il senso non è una risposta, ma un sorriso. Lo statuto delle cose è un vento.

Cosa insegni come professore, padre, marito, poeta? In cosa presti fede, lì attestandoti?

Non insegno nulla, testimonio il mio stare nella domanda, e cerco compagnia. Presto fede agli altri.

Quale evento ti ha cambiato la vita – quale libro?

Mi predispongo al miracolo di ogni evento, anche quello più quotidiano, minuto. La rivelazione è sempre dietro l’angolo: se Dio esiste si manifesterà nella brezza. E tuttavia è ovvio che la mia postura vitale sia determinata dai traumi che ho alle spalle, e dai libri che mi hanno nutrito. Ma il passato vive e si modifica nel mio slancio vitale. Ho imparato a uccidere i miei maestri, a liberarmi dai miei fantasmi, a rivalutare ciò che credevo insignificante. Un catalogo di fatti determinanti andrebbe aggiornato quotidianamente, come il canone su cui uno fonda la propria poesia si modifica a ogni verso.

Come vivi: ovvero, qual è la traccia che orienta la tua vita, ciò che difendi, verso cui sei intransigente?

Vivo cercando di mantenere, controvento, quella postura, quello slancio di cui sopra. Quando mi avverto irrigidito, inerte, cerco di mettermi in crisi (e la poesia mi serve per questo). Sono incline all’intransigenza su molte cose, ma mi sforzo di applicarla soprattutto a me stesso, disciplinandomi alla tolleranza e al perdono verso gli altri (contro la mia indole rancorosa e irascibile). Su che cosa sono intransigente, però, vorrei lo dicessero le persone che mi conoscono.

(Davide Brullo, “La voce di Romagna”, 2 ottobre 2011, rubrica Maestri, pdf: Brullo-2011)

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