Una monografia non apologetica (di Rinaldo Caddeo)
Mario Luzi, insomma, assurge al ruolo duplice di massimo interprete della tradizione sia simbolista sia ermetica e di principale traghettatore di questa tradizione (rivista e corretta) nel nuovo millennio
«Se Montale viene considerato, fra i contemporanei, il “poeta centrale, normativo, integralmente novecentesco”, il nostro secolo trova in Luzi il poeta che lo ha attraversato più intimamente e che si avvia ora a superarlo. Le sue opere si dispiegano, senza soluzione di continuità, lungo il corso di oltre sessant’anni, da La barca del ’35 all’attuale silloge inedita, anticipata in parte nell’Opera poetica curata da Verdino». Mario Luzi, insomma, assurge al ruolo duplice di massimo interprete della tradizione sia simbolista sia ermetica e di principale traghettatore di questa tradizione (rivista e corretta) nel nuovo millennio, oltre le secche della Neoavanguardia e le forche caudine degli schieramenti artistico-letterari secondo novecenteschi. Marco Merlin arriva a questo assunto, messo giustamente alla fine del suo libro, (nel capitolo intitolato Il secolo di Luzi), dopo un’attenta analisi, articolata nei capitoli precedenti, con un confronto serrato, con i testi e con la testualità, dell’opera poetica di Luzi. Evitando il rischio apologetico e unidirezionale della monografia, Merlin non risparmia le critiche, quando ritiene che siano necessarie, volte a limiti e a fasi di opacità della poesia di Luzi e mette in gioco gli accostamenti indispensabili, come metratura e come dialogo, del Nostro con i classici, da Agostino a Dante a Petrarca a Leopardi, e con i contemporanei, soprattutto con Teilhard de Chardin, Betocchi, Eliot e Sereni. Le raccolte prese più ampiamente in considerazione e messe sotto esame, sono: Per il battesimo dei nostri frammenti, Frasi e incisi di un canto salutare, Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini. È l’atteggiamento di fondo dell’umiltà, da intendersi non come falsa modestia ma come adesione all’humus, alla terra, al sentire delle cose, a determinare quell’amalgama speciale, coeso e inconfondibile, dell’interrogarsi dilemmatico di Luzi sulle cose e sui fatti più disparati, dal paesaggio toscano all’esecuzione di Aldo Moro, in un impasto allitterativo che segue e incalza un ritmo dalle ampie volute, fluide e cangianti. I fiumi, ad esempio, così presenti in Per il battesimo dei nostri frammenti, con la loro corsa verso il mare, sono un emblema del divenire, dell’eterna metamorfosi del tempo della storia umana. Una metamorfosi, avventura conoscitiva e scrittura, che corre verso un punto virtuale di coincidentia oppositorum (terrestre/celeste, visibile/invisibile, vita/morte, infinitamente piccolo/infinitamente grande). Lo slancio visivo dei versi di Luzi, sottratto alla servitù della metafora e delle similitudini, si evolve in nuova visionarietà. È con il Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini che la metamorfosi diviene trasmutazione epifanica. La donna-madre, emblema della natura naturans, conduce all’epifania dell’Immacolata Concezione. Gli ori e i lapislazzuli di Martini compenetrano definitivamente nomi e cose: «entrano le cose / nel pensiero che le pensa, entrano / nel nome che le nomina, / sfolgora la miracolosa coincidenza». In questo Punto supremo Simone Martini, divenuto Mario Luzi, oltrepassa i confini dello suo sguardo e della sua ragione, ci osserva, ci parla, come se fosse presente, come se Lui si avvicinasse a essere un nostro contemporaneo tanto da fare di noi dei contemporanei di Lui. La creazione rovescia la sua inevitabile contingenza e parzialità, la sua finitudine, in plenitudine. La pittura non è più come la poesia ma, al di là di Orazio e di Ruskin, è poesia che dipinge una nuova realtà, «incremento d’essere, attività intimamente partecipe del ‘progresso spirituale’ dell’uomo».
(Rinaldo Caddeo, Punto. Almanacco della poesia italiana 2 – 2012, Novi Ligure, puntoacapo 2012, pp. 97-98)
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