Andrea Temporelli, Terramadre (2012)

Un delicato passaggio (di Salvatore Ritrovato)

Ogni sezione del libro presenta un suo peculiare equilibrio che si proietta in un nucleo inabissato del volume, e nello stesso tempo delinea un disegno decentrato che attende la sua chiusura, sia pure provvisoria, in un orizzonte più vasto di opere.

La seconda raccolta di Andrea Temporelli, dopo Il cielo di Marte (Torino, Einaudi, 2005) è un pullulante eterogeneo sistema di diversi insiemi poetici, noti e venuti alla luce in diversi momento del percorso del poeta come, per esempio, la silloge La buonastella, nel collettivo Poesia contemporanea. Settimo quaderno italiano (Marcos y Marcos 2001). Dunque, se è vero che Terramadre può apparire come il «risultato di uno sviluppo nervoso, a scatti, con improvvisi scarti anche all’indietro» — avverte l’autore nella nota finale — fra «agglomerazioni provvisorie di poesie collassate in scritture sommerse, costellazioni che non si sono fissate malgrado la struttura compatta», senza dimenticare quei testi «entrati, ulteriormente rastremati, nell’orbita di altri sistemi, titoli temporanei e anticipatori», pure questa raccolta si presenta come un delicato e insieme necessario passaggio di quel quadro esistenziale (dall’infanzia alla giovinezza) segnato da “falsi idilli”, con cui il poeta autentico non mancherà di fare i conti, sfidandone l’interpretazione con una cifra in grado, magari, di prestarsi a nuove riletture ed eventualmente a nuovi percorsi possibili («Tu sei gli anni più belli della vita, / gioventù che non torna, / e l’amore, l’amore senza fiato. / Tu sei slancio e ferita…»). La raccolta di Temporelli scombina, pertanto, i piani temporali delle carte, le mescola, anche lasciandole, paradossalmente, tali quali sono venute negli anni a disporsi, lungo una sequenza tanto perentoria quanto non programmata. Ogni sezione del libro presenta un suo peculiare equilibrio che si proietta in un nucleo inabissato del volume, e nello stesso tempo delinea un disegno decentrato che attende la sua chiusura, sia pure provvisoria, in un orizzonte più vasto di opere. La scelta è consapevole, e commisurata alle passioni e all’entusiasmo degli anni trascorsi, fra polemiche e battaglie, studi e ricerca poetica, nella prospettiva della raccolta organica, efficacemente riuscita, del volume einaudiano, Il cielo di Marte (2005). E si può dire che non manchi niente, dal momento che è intento del poeta predisporre il lettore a un percorso non lineare della sua produzione, onde imprimergli con maggiore forza la sensazione di un’energia che sprigiona dalle varie sezioni (da La buonastella a Nel giardino di Armida, a La repubblica dei poeti, a Allegorie celesti, fino al poemetto Terramadre e quindi a Nel paradiso). Anche nella forma metrica e talvolta nelle soluzioni stilistiche l’autore si premura di non coprire le disgiunzioni, intese a rafforzare l’idea di qual rovello abbia bruciato nel cuore della poesia, trovando sbocco in testi o in sequenze testuali di particolare intensità (come, nella prima sezione, La piccola guerra, Lettera di Riccardo, Domina, La forza del luogo comune, Vertigine, per finire nelle altre, Innominata, Fronte del bene comune, Fra te e il mondo), e naturalmente nella fattura di un verso che si realizza con la conquista di un’asciuttezza guadagnata palmo a palmo alla tradizione, ai maestri (da Luzi a Caproni) che continuano a indicarci la strada, non solo per stare nella poesia ma anche nel mondo.

(Salvatore Ritrovato, rec. a Terramadre, «Punto. Almanacco della poesia italiana», 3 – 2013, pp. 86-87)

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