Nella pancia del Leviatano
Lettera aperta alle nuove redazioni di Atelier
Cari Nuovi Redattori,
a parte ovviamente i reduci, che sono rimasti nel team che si è costituito dopo il mio allontanamento, non conosco a conti fatti nessuno di voi. A distanza di un paio di anni da quel brusco distacco, ho pensato di scrivervi questa lettera aperta per esprimervi un augurio e una preoccupazione.
L’augurio è scontato, ma sincero: spero che possiate far crescere ulteriormente la rivista, interpretandone correttamente il progetto e appropriandovene, per aggiungere i vostri talenti in una visione critica del contesto contemporaneo.
Il fatto che nel giro di pochi giorni dopo l’annuncio della mia uscita dalla rivista e la sbrigativa liquidazione dell’ultima redazione si sia subito presentato un gruppo, anzi due, uno specificamente dedicato all’interfaccia web, mi lascia credere che tra di voi ci sia un affiatamento di base. Ottima partenza. Rispetto al 1996 avete un duplice vantaggio: anzitutto, nuovi mezzi per conoscersi e stare in relazione, ma credo che anche il lavoro compiuto da Atelier vi sia servito. Concedetemi, almeno, la consolazione di questa idea.
La preoccupazione è figlia dell’auspicio. Non è stato infatti accolto il mio suggerimento di siglare la nuova fase della rivista con la dicitura: “Nuova serie”. Ora la continuità esibita andrà verificata sul campo. Non nutro dubbi in merito alla qualità di quanto produrrete, ma sono curioso di vedere se e quale direzione darete al vostro lavoro. Il problema, infatti, non è dare voce all’esistente, perché tutto l’esistente, anche in letteratura, è (oserei dire teologicamente) degno e lodevole in quanto tale. Il problema è assumersi la responsabilità, individuale e comunitaria, di rispondere all’appello dell’esistente e scegliere quale direzione evolutiva sostenere. Di fronte a questa responsabilità Atelier fino a ora non si era mai tirata indietro, anche a prezzo di incomprensioni, tensioni e persino qualche ripicca personale.
Non prendere posizione, non lavorare per il domani, significa bruciare nel presente ogni risorsa. Non sarebbe un atteggiamento ecologico. E la letteratura non è musica leggera buona per un’estate. Quelli che hanno annunciato la scomparsa della poesia in modo non ottuso non avevano mai pensato al suo declino, ma al contrario alla sua globalizzazione omogeneizzante. A un certo punto il successo si spalanca sull’insignificanza, talvolta.
So che tutta la società contemporanea spinge in questa direzione, ma è questo l’atto di coraggio preliminare che deve compiere uno scrittore. Si scrive nel per sempre – o si fa silenzio, si favorisce l’ascolto.
I numeri finora usciti della rivista mi sembrano interlocutori, in questo senso. La rivista online, invece, sta diventando un’altra vetrina senz’anima. È naturale quindi che i numeri di visite che vantate (incredibili, e in effetti meritebbero qualche analisi) vi stiano premiando, ma se fossero le classifiche a rendere ragione dell’esistente, una rivista come Atelier non servirebbe proprio a niente. Spero non sia vostra intenzione limitarvi a prosperare nella pancia del Leviatano: non rassegnàtevi alle rassegne.
Vi aspetto dunque davanti alle vostre scelte qualificanti. Spero non vi manchino coraggio, lungimiranza e spirito di indipendenza. Sono comunque fiducioso, perché sotto la direzione unica di Giuliano (che si sarà riappropriato di un progetto che da un po’ di tempo non sentiva più suo) i talenti – e gli uomini – tendono a fiorire. Ora tocca a voi entrare nel vivo della “guerra per amore” della letteratura contemporanea.
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