I Nazirei e la Medusa
Diversi lettori si sono interrogati sull’impostazione grafica della copertina del mio romanzo, Tutte le voci di questo aldilà, uscito nella collana “I Nazirei” di Guaraldi. Devo dire che la maggior parte ha colto subito il richiamo grafico a una storica collana editoriale: mi fa piacere, perché vuol dire che la competenza letteraria di questi lettori è alta.
La collana i Nazirei alterna riproposte di titoli di spicco a nuove proposte editoriali. Mi hanno preceduto, in questa sede: Lion Feuchtwanger, Davide Brullo, Gian Ruggero Manzoni, Giorgio Saviane, Roberto Barbolini, Herman Melville.
Ma per presentare questa sigla editoriale mi sembra opportuno riprendere la nota dell’editore (Mario Guaraldi) che accompagna il primo libro della stessa, ovvero La distruzione del Tempo e le prime Comunità Cristiane, romanzo di Lion Feuchtwanger, appunto:
Ho sempre provato, da editore, un’ammirazione che sconfina nell’invidia per i 533 volumi della mondadoriana “Medusa”, la più straordinaria “collana” editoriale che l’Italia abbia prodotto in 36 anni ininterrotti (persino negli anni della guerra) fra il 1933 e il 1969 – cui andrebbero aggiunti altri 242 titoli delle serie “satelliti” dei “Quaderni” e della “Medusa degli italiani”.
Nel solo anno di esordio – undicesimo dell’era fascista – vengono proposti agli italiani ben 26 titoli di quelli che tuonano, alla faccia della censura e del demonizzato culturame fascista. Solo per citarne alcuni, Il grande amico di Alain Fournier, ben tre Maurois, due Huxley (fra cui Il mondo nuovo), Virginia Woolf, Colette, Herman Hesse, Lawrence, Thomas Mann (col primo titolo della tetralogia Giuseppe e i suoi fratelli, alla faccia del preteso antisemitismo italiano). I traduttori si chiamavano Anna Banti, Luigi Barzini Jr., Elio Vittorini, Alberto Mondadori, Bruno Arzeni…
Il numero 6 della serie è La fine di Gerusalemme dell’ebreo tedesco Lion Feuchtwanger, primo della trilogia dedicata a un personaggio chiave della storia romana, prima ancora che ebraica, Giuseppe Flavio, autore delle celeberrime cronache delle Guerre giudaiche. La traduzione è di Ervino Pocar, uno di quegli incredibili traduttori professionisti a tempo pieno che non esistono più in natura e che nel corso della sua vita ha firmato qualcosa come centoventotto traduzioni. Un gigante. Il testo è un vero capolavoro di cultura storiografica in forma di “romanzo storico”: solo un ebreo tedesco poteva confrontarsi così sapientemente con la modernissima ambiguità di un profeta della “mediazione culturale” come il “traditore” ebreo Giuseppe, che l’imperatore Vespasiano premia bollandolo per sempre col nome dei Flavi.
Di più. Solo un ebreo tedesco poteva porsi delle domande così lucide sulla “storicità” della vicenda di Gesù di Nazareth e sulle “ragioni” dell’affermarsi della nascente fede fra i primi gruppi di “minei”; proprio quando il giudaismo – dopo la distruzione del Tempio – subiva l’irrigidimento cerimoniale imposto dal fariseo Gamaiele (alla cui scuola si forma, per sua stessa ammissione, il giovane San Paolo!).
Insomma, un testo davvero indispensabile per “capire” non solo il dramma del popolo ebraico prima e dopo la distruzione del Tempio, ma anche la nascita e la prima diffusione del cristianesimo, le strategie imperialiste dell’occidente (Roma come gli Usa, duemila anni più tardi…), la difficoltà di “gestire” politicamente tutto lo scacchiere medio-orientale. Una parabola.
Confesso con un certo imbarazzo che Feuchtwanger mi era completamente sconosciuto fino al giorno in cui ho casualmente comprato questo libro per due euro, su una bancarella di Bologna; e l’ho divorato in poche notti. Scoprire da vecchio un autore e un testo così importante non può non far pensare alla inquietante “casualità” della nostra formazione culturale. Noi siamo i libri che abbiamo letto. E incrociamo i libri che culturalmente ci formano in relazione ai percorsi di esperienza che abbiamo compiuto e alle relazioni che abbiamo intrecciato.
Quanti libri fondamentali ho avuto il torto (o semplicemente la sfortuna) di non incrociare nel corso della mia vita? Più banalmente: quanti dei 775 titoli pubblicati dalla Medusa ho perso per strada in maniera irreversibile? Ecco perché abbiamo deciso – in tempi di letteratura debole – di fare questo “ripescaggio” editoriale, a metà strada con il mai placato interesse per la storia, che dobbiamo anche alla disponibilità e alla lungimiranza del figlio di Ervino Pocar.
Ma c’è anche un’altra ragione, più squisitamente letteraria. Quella di riaprire il discorso sul romanzo “moderno” capace di trattare contenuti forti, storici, politici e persino religiosi o teologici; non solo storielline d’amore o thriller d’intreccio cui l’abbiamo ridotto.
La riproposta dello straordinario affresco disegnato da Feuchtwanger è da un lato la confessione delle lacune culturali di una generazione attirata dalla sirena marxista; dall’altro è un gesto simbolico di riparazione di un “crimine” strutturale della nostra editoria, che condanna un autentico tesoro culturale del proprio passato alle catacombe delle bancarelle antiquarie; e alimenta una produzione letteraria contemporanea spesso non all’altezza dei propri trascorsi.
Francamente mi sfugge il senso ultimo di questo articolo del sig, Guaraldi, che parte dalla considerazione che la copertina e, deduco, anche il formato del libro in questione, rappresenti una sorta di omaggio alla collana Medusa vecchia di circa 80 anni. Promette ma non mantiene. L’articolo spiega l’amore viscerale e sincero per la letteratura, e il rapporto di questa con la propria esistenza. Ricavare un probabile senso da quanto troviamo casualmente. Ma dove sta la giustificazione o la fondatezza della scelta, fosse anche solo commerciale, nel riproporre una grafica vecchia di 80 anni non me lo spiega. Le ultime righe a me personalmente non bastano per apprezzare una scelta del genere che tutto sommato non fa che farmi trovare su uno scaffale qualcosa che di getto tenderebbe a mio parere a non invogliare a meno di uno sforzo del tutto di carattere culturale, mentale, non viscerale, di impulso. Di qualcosa che ci colpisca al di là della barriera. È un’operazione mimetica che non rende giustizia al tempo presente e far capire che quel che stai guardando appartiene a oggi, che quel che vedi appartiene al mondo di adesso, secondo me non è un vezzo, ma un compito, sia degli artisti sia di chi cura la lùdiffusione del lavoro di questi. Quindi, dalcanto mio, non rilevo nessun collegamento e nessuna necessità per questo ” ripescaggio ” e alla fine rimango solo con una copertina pesante, che odora di muffa e al cui centro non trovo nemmeno più quel legame forte e concettuale tra il titolo della collana e l’immagine della medusa ( geniale allora, oggi già acquisito, basti pensare al cinema) ma un arabesco, un rizoma, che ha certamente attinenza con l’autore della collana ma per vie del tutto private ( niente da dire). Sono un esteta ignorante e io i libri, i film, la musica, li scelgo o ne vengo catturato , in mancanza di altre informazioni, per la veste, per come mi cadono sotto gli occhi, esattamente come accade con le donne. Per me il vestito fa il monaco. Ad ogni modo ho comprato questo libro ma non per la copertina, che ho dovuto, lo confesso, escluderla dallo sguardo. Saluti.