Di un poeta che diventa un personaggio del mio romanzo

Dopo la sorpresa del personaggio del mio romanzo che ha deciso di uscire dal libro e rivelarsi in carne e ossa, ci mancava solo qualcuno che, senza chiedermi nulla, avesse deciso di intraprendere la strada opposta.

Questo è infatti ciò che mi è successo poco tempo fa, quando ho conosciuto di persona Dario Bertini, a Pavia. Me ne sono tornato a casa con le belle impressioni suscitate da un ragazzo simpatico, a modo, intelligente, molto informato, che sa prendere con leggerezza sé stesso senza misconoscere il valore delle proprie passioni.
Fin qui, niente di surreale. Poi, però, ho cominciato a leggere il libro di poesie che mi aveva lasciato in omaggio. Si intitola Prove di nuoto nella birra scura (edito dalle Edizioni del Foglio Clandestino). Poteva di primo acchito sembrare soltanto una raccolta di versi bislacchi, confezionati da un giovanotto ancora un po’ ingenuo che si voleva presentare alla stregua di un artista da cabaret, il cui modello letterario sarebbe stato al massimo Charles Bukowski (che sarebbe poi un ottimo modello, ma che sconta il difetto del proselitismo di maniera). E invece.
Invece mi sono trovato di fronte a un autore di jazz in poesia, capace di girovagare con la sua voce con naturalezza, aprendo il discorso potenzialmente a tutto, eppure tutto riconducendo, per via sapientemente ironica, a una serietà di fondo, a una profondità di sguardo, insomma a una consapevolezza letteraria non comune. Così ho capito che Dario Bertini è sicuramente un personaggio del mio libro, uno di quei poeti soliti a frequentare il bar Boni e disquisire di temi letterari tra una boccata di birra e un tiro al biliardo. Capisco anzi di averlo adocchiato in qualche scena, senza riuscire a riconoscerlo, ma adesso i suoi versi mi impongono di esclamare: “Ma sì, era lui quello seduto su quel tavolino, là in fondo, in quella scena!”. Anzi, sono certo che nel mio romanzo abbia anche parlato, ma esporrò questa teoria domani. Oggi, la scena è tutta sua e per questo gli cedo completamente la voce:

Come finisce una poesia? Una poesia finisce
perché non c’è più carta, la penna è scarica,
il cane dei vicini abbaia senza tregua, il lavandino perde.
Come finisce una poesia? Una poesia finisce
che non è più l’ora, non è più giorno, non è più notte,
la settimana è quasi terminata, il mese, l’anno
o l’arco raddoppiato di un millennio
che ci vorrebbe una legione di professori di matematica
per contare tutto questo tempo,
ma allora è meglio che una poesia finisca.
Come finisce una poesia? Una poesia finisce
che qualcuno nel pubblico ha messo una bomba
dentro la casa del poeta, ha mandato l’esercito,
i vigili urbani, una poesia finisce che a un certo punto
arriva il fiorista con un mazzo di gladioli appassiti
e una poesia finisce perché siamo tutti allergici
ai gladioli appassiti, ma una poesia finisce,
che arriva una ragazza troppo bella e l’autore
smette di scrivere e la segue, ma una poesia finisce
che non è mai iniziata per davvero, che non c’era
nemmeno prima, che una poesia finisce
quando finisce il vino, non quando chiude il bar.
Ma come può finire una poesia? Ma come diavolo finisce
una poesia? Una poesia finisce
che un cammello ti attraversa la strada
mentre guidi nel buio, contromano.
A quel punto, può darsi, che avrai smesso di chiederlo.

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