Aderire all’indifferenza
Comporre versi è un’arte che ha le sue regole. Questa è la forza e la dannazione della scrittura, da sempre: il limite deve mutarsi virtuosamente in potenzialità, la materia deve brillare e trasfigurarsi.
Oggi tutti hanno la possibilità di scrivere e il bisogno di dar sfogo alle esigenze psichiche di creatività, così spesso frustrate nelle pratiche cui quotidianamente vincoliamo il nostro commercio con il mondo, è un potente propulsore che fa girare a mille le fotocopiatrici dei paesi opulenti, che garantisce sopravvivenza a centinaia di sedicenti editori, che investe di emozioni i freddi supporti informatici, che spalma di marmellata sentimentale il web impalpabile che avvolge il globo terracqueo così confusamente soggiogato da quella strana creatura che è l’uomo. Pertanto, è bene ricordarselo, alla pretesa di genuinità dell’ultimo arrivato che chiede attenzione, in virtù della sua acuta sensibilità che lo approssima agli angeli, resta da preferirsi l’esercizio letterario dell’anima prosciugata per il confronto con la pagina.
L’imperativo di cedere al bianco, di rischiare l’afasia piuttosto che barare con il limite che fonda l’arte della scrittura poetica, è ben presente nella raccolta di Italo Testa, nato a Castell’Arquato nel 1972. Gli aspri inganni, poemetto edito per Lietocolle, è un intreccio smaltato di versi che sottolinea l’attrito fra la vita da cogliere e la fissità del segno. Viene in mente la sequenza con cui Montale, nella sezione Movimenti di Ossi di seppia, tratteggiava la vita impressa nei Sarcofaghi: anche in questo libretto c’è l’araldica rappresentazione di movenze pietrificate (ma verrebbe da dire ri-velate, congelate nel presente dell’evento poetico) dallo sguardo dell’autore, massimamente concentrato, per non perdere una sola goccia dell’energia dell’esperienza. Campeggia, non a caso, come immagine dominante nella raccolta, quella del nuotatore: «Tu allora il corpo in fuga immergi, all’onda / consegna le vestigia delle forme, / brune parvenze che il frutto dilava». Il lessico è spesso aulico, l’aggettivazione insistente e preziosa, la sintassi e la tessitura fonica sono raffinate. Si veda, per esempio – oltre all’ampio regesto di sintagmi finemente intrecciati di cui ci parla Giovanna Frene nella nota critica che chiude il volumetto – la decima poesia, in due strofe, trapuntata la prima intorno alla lettera “v”, la seconda intorno alla “s” (e si tace delle rime).
Vuoi ascolto anche tu, come poeta? Mostra il tuo capolavoro, la tua abilità tecnica appresa dal maestro di bottega: dopo, se vuoi, parlami dei tuoi orizzonti personali, dei nuovi limiti con cui ti confronti.
Devi fare attenzione, orientare lo sguardo
in direzione del flusso: è bianco il velo
che lambisce i contorni, che acceca:
tu al bianco devi cedere, muto
aderire all’indifferenza delle cose.
Italo Testa
(da Mosse per la guerra dei talenti; l’immagine in evidenza dell’articolo, “Pagina bianca”, è di Cristina Pedratscher)
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