Antichi contro Moderni
Sono assediato dai libri. Quelli che mi procuro sono sempre più di quelli che riesco a leggere. E la vita, per fortuna, non dà tregua, quindi comincio a credere che molti, troppi, rimarranno intonsi. Come recuperare terreno, come risolvere il problema? E, soprattutto, perché non riesco a limitarmi ai libri davvero fondamentali, ma inseguo il presente, e cerco autori che magari pochissimi conoscono?
Su questo, cercherò di dire qualcosa domani, ho bisogno di andare a rileggere (!) il saggio di un poeta. Intanto, ho immaginato i due professori del mio romanzo che discutevano proprio su tale argomento.
Di come Silvio e Max avrebbero disputato in merito a “Antichi vs Moderni”
I loro discorsi erano solitamente su altri argomenti. Nessuno dei due amava i pettegolezzi e se qualche volta se ne concedevano era solo per stuzzicarsi a vicenda. Silvio, per esempio, finiva quasi sempre per provocare Max sulla poesia, ma quella volta, rintanati a scuola oltre l’orario consueto con la scusa della correzione dei compiti, si ritrovarono a discutere di letture e di autori contemporanei.
«Ma nella vita quanti libri si possono leggere? Dieci, venti all’anno? Dai venti ai settant’anni fanno mille libri tondi tondi, proprio il numero minimo per l’istituzione di una biblioteca. E il tempo per rileggerli?»
Max pensò automaticamente al proprio ménage familiare, ai compiti e alle lezioni, alle incombenze formali… Forse davvero la letteratura ci moltiplica l’esistenza, ma a patto di ridurre la nostra al cinque per cento, come disse qualcuno.
«Una volta», proseguì Silvio, «ho chiesto ai miei studenti di redigere un elenco dei classici delle principali letterature. Già era sorto qualche problema teorico circa la preminenza di alcune letterature su altre, ma tralasciamo questo dettaglio. Insomma, sai a che cosa siamo giunti, lavorando per una selezione estrema? A mille e duecento titoli. Capisci? Mil-le-due-cen-to.»
«Come sei scientifico», ribatté Max. «Sai anche tu che molti libri si conoscono senza leggerli. Studi un autore, e finisci per fare amicizia con un altro, di cui ti parla, di cui ti racconta l’anima.»
«Mi sembrava che tu fossi piuttosto critico nei confronti della conoscenza per interposta persona», si sentì rispondere.
«Sì, è vero, ma non si possono frequentare tutte le persone con le quali finiamo per intrecciare la nostra vita. Ci sono esistenze che si legano a noi tramite un gesto quotidiano, una stretta di mano, un sorriso dietro a uno sportello, un saluto rituale… Piccoli atti umani. Lo stesso vale per la letteratura.»
«Va bene», non demorse Silvio, «ma la mia scelta è quella di riservare questo tipo di rapporto agli scrittori contemporanei: ne colgo uno sguardo in TV, ne spulcio un’intervista sul giornale, ne leggo un giudizio letterario…»
«Non sei un po’ ingiusto nei confronti del tuo tempo? Dietro ai libri ci sono persone reali, che chiedono luce durante la loro vita: uomini che amano, desiderano, sognano, si ammalano, si corrompono come le loro pagine.»
«Questo vale anche per i miei classici.»
«Ma l’amore si deve esercitare a partire dalle persone che ci sono più vicine. Altrimenti non è vero amore», rintuzzò Max.
«Oh, non fare prediche. Sai benissimo che stiamo parlando di cose diverse. E poi, in letteratura sei davvero convinto che sia più contemporaneo Genna di Giovenale?»
Max fece un sospiro rassegnato, velato da un sorriso. Ci fu un attimo di pausa, poi Silvio riprese: «Comunque non pensare che io non ti comprenda. È soltanto che non sopporto di trovare nei contemporanei, annacquato se non addirittura vilipeso, ciò che trovo più puro e concentrato nei classici. Non abbiamo il tempo di leggere tutto. E, per quanto capisco l’emozione di scoprire le perle del nostro tempo, a patto però di sopportare infinite disillusioni e magari anche di prendere lucciole per lanterne, io ho scelto di non correre rischi.»
«Anche il valore degli antichi è soggetto a una verifica permanente, però. La partita è sempre aperta, a ben vedere. E io credo che si eserciti a partire dal presente. Voglio dire, la guerra dei talenti del nostro tempo non è fine a sé stessa, imprime alla tradizione un movimento che ridisegna anche il passato.»
«Però noi non siamo i protagonisti di questa guerra. Non siamo scrittori, non siamo critici. Siamo insegnanti», disse Silvio, sentendosi in dovere di aggiungere una precisazione: «Per lo meno, io.»
Max avrebbe voluto ribattere, ma si sentiva stanco. Fu Silvio, allora, a incaricarsi di chiudere il confronto: «Si perde tempo ad andare dove ti porta il cuore, almeno alla nostra età. Meglio dialogare regolarmente con Agostino, Apuleio, Alighieri, Auden, Aristofane, Apollinaire, Austen… Ariosto, Aretino, Aristotele, Alceo, Alcmane… Achebe, Asimov… Amado, Anacreonte, Ammiano Marcellino, Arbasino, Andersen…»
«Sì, sì, ho capito, basta.»
«Sono solo alla A! Ah, Andrić, Apollonio Rodio… Artaud, Alcott… Ausonio, Alfieri…»
«No, Alfieri no, per carità…»
(L’opera in evidenza nel post – clicca sull’immagine per vederla interamente – è di Emanuele Taglieri)
Vexata questio senza soluzione. Oppure ognuno trova la propria misura. Anch’io ero dell’idea “solo classici per carità” , il resto è tempo perso. Poi ho pensato che magari mi stavo perdendo qualcosa e ogni tanto davo una sbirciatina in libreria a testi che non ero certa di volere sui miei scaffali. Ora gli ebook consentono di non porsi almeno questo problema. Credo che in ogni “grande” libro ci sia tutto e qualche volta vale la pena rileggerne uno che non affrontare qualcosa di mai letto solo per dire “ce l’ho” come fanno i bimbi con le figurine! Oggi si stampa di tutto anche dei testi di infima categoria ma ad un lettore cosiddetto “esperto” che si è ormai formato un gusto sulla scia delle letture precedenti basta leggere una pagina per capire se quel nuovo autore gli lascerà qualcosa oppure no. Perciò ho deciso di non rinunciare a niente e di cogliere fior da fiore. Siamo quasi in primavera, si può accettare! Buona lettura