Oltre le serate sui materassi. Il rapporto fra genitori e prof
Ricompare di tanto in tanto, sul web o sulla stampa, una vignetta che spiega in modo immediato ed efficace quanto siano cambiati i rapporti tra genitori e insegnanti nell’arco di pochi decenni (cliccate sull’immagine per vederla interamente). Se ne trovano diverse varianti.
Mestiere socialmente molto considerato un tempo, oggi bersaglio di potenziali critiche da ogni dove (studenti, genitori, politici), quella dell’insegnante è una professione tanto delicata e strategica quanto bistrattata. I docenti sono sottopagati, si afferma da un canto, ma poi dall’altro si ricorda quante poche ore al giorno lavorino, per non parlare di tutti quegli imbarazzanti mesi di ferie. La qualità della scuola è la garanzia del nostro futuro, proclamano i politici, e per questo decidono che la scuola sarà il primo settore in cui operare i loro lungimiranti tagli alla spesa. E via di questo passo.
Ebbene, io ho la fortuna di vivere una realtà scolastica in cui i rapporti fra genitori e insegnanti sono un po’ particolari, diciamo più intensi che in altri contesti. Nella scuola primaria i genitori sono abituati, anzi espressamente invitati, a collaborare a vari livelli con le attività didattiche delle maestre, se non altro per trovare fondi. L’ultima tendenza è quella delle “serate sui materassi”. La formula lascerebbe immaginare impegni tutt’altro che noiosi. La mia idea? Figuratevi genitori e prof schierati a battaglia, pronti a prendersi gioiosamente a cuscinate in una sana riunione ludico-terapeutica dentro una palestra ricoperta di materassi di vario genere (a molle, al lattice, ad acqua, a schiuma…), con i figli ad assistere e a tifare sugli spalti. Questa sì che sarebbe una bella esperienza educativa! E invece si tratta, come sapete, di soporifere (così si resta in tema) riunioni di promozione di materassi, organizzate da società che garantiscono un contributo finanziario al raggiungimento di un numero minimo di coppie partecipanti. Gli aneddoti intorno a simili eventi sono ormai svariati. Io per esempio ho dovuto fingermi marito di una persona che fino a pochi minuti prima non ricordavo di aver mai visto, ho recitato la parte del papà di una bambina di seconda elementare (ho sempre desiderato una figlia, ma ovviamente mi tocca sopportare due maschiacci), ho finto di avere problemi di sonno e dolori reumatici vari e per poco non sono stato prescelto come cavia per la fatidica “prova materasso”. Credo che sarei piombato in un sonno profondo e rumoroso in tempi record, favorendo un numero insperato di vendite.
Ma, dopo la primaria, i genitori si allontanano progressivamente dalla scuola. I figli diventano più autonomi, gli argomenti si complicano e la memoria e la competenza diminuiscono, la consuetudine prende il sopravvento. Durante l’anello centrale del sistema attuale, la scuola “media”, si consuma il traumatico passaggio dall’idillio primario al dramma secondario.
Ebbene, come dicevo, la realtà scolastica della mia scuola mi risulta un po’ differente rispetto agli standard, come è lecito attendersi, del resto, per una scuola paritaria e cattolica. Ciò ovviamente non toglie che dal coro si sollevino però, di tanto in tanto, altre voci, magari anche piuttosto rumorose, benché numericamente in netta minoranza. Si tratta di quei genitori che avanzano, più o meno esplicitamente, delle pretese, in nome delle quali ritengono di poter entrare persino nel merito delle scelte professionali e dello stile pedagogico dell’insegnante. Il fenomeno è antropologicamente interessante e si presterebbe ad altri ameni aneddoti: da quella mamma che ci chiese come mai, durante le ore di educazione fisica, gli studenti non marciassero più (ma era originaria di un paese dell’Est…), al papà preoccupato perché non si fanno più riscrivere duemila volte le frasi di castigo, ovviamente riferendosi a certi compagni del proprio figlio; dalla mamma che ci aggiornava sui siti da consultare per capire come avremmo dovuto svolgere la lezione per ottenere dalla figlia i risultati che lei (la madre? la figlia?) si meritava, a quella che viene per certificare le competenze del figlio dimostrate a casa, anche se incomprensibilmente smentite dalle prestazioni a scuola…
Ora, che un genitore si interessi e dialoghi con il docente, anche entrando nel merito della didattica, è cosa buona e giusta. Noi prof non ci sentiamo affatto offesi per le richieste di spiegazioni: spiegare è il nostro mestiere! Ciò che ci lascia perplessi è l’assedio sociale alla nostra professionalità. Oggigiorno ormai è normale che gli alunni in classe siano sempre più inclini a ribattere a ogni osservazione, che i genitori valutino i docenti con gli occhi dei figli e con le interferenze della loro passata esperienza scolastica, che i politici ci obblighino a corsi abilitanti impostati su criteri diversi da quelli che vorrebbero inculcarci e organizzati per correggere gli errori del sistema di formazione e di reclutamento che loro stessi hanno organizzato e continuano a mantenere… Insomma, i docenti sono spesso vittime della schizofrenia collettiva.
Il ruolo della vittima, però, in generale non mi piace né credo si addica alla maggior parte dei miei colleghi. Così, mi permetto di “risolvere” bonariamente al volo qualche obiezione raccolta negli ultimi tempi, attraverso una citazione dotta.
Nell’introduzione ai Promessi sposi, Alessandro Manzoni, al fine di giustificare la scelta di procedere nella trascrizione-traduzione del suo fantomatico manoscritto, davanti alle possibili obiezioni prese in considerazione, scrive:
Spesso anche, mettendo due critiche alle mani tra loro, le facevam battere l’una dall’altra; o, esaminandole ben a fondo, riscontrandole attentamente, riuscivamo a scoprire e a mostrare che, così opposte in apparenza, eran però d’uno stesso genere, nascevan tutt’e due dal non badare ai fatti e ai principi su cui il giudizio doveva esser fondato; e, messele, con loro gran sorpresa, insieme, le mandavamo insieme a spasso.
Ebbene, quali critiche recepite di recente vorrei “mandare insieme a spasso”? Ve ne cito, in chiusura, solo qualcuna, messe in fila e a braccetto, come i nostri alunni più amati e più vivaci:
- Non sarebbe opportuno svolgere lezioni più moderne, interessanti, interattive? – Perché invitate i nostri figli a rivedere a casa tramite PC le vostre lezioni?
- Perché avete diminuito i libri? – Le cartelle dei nostri figli sono troppo pesanti!
- I ragazzi hanno troppi compiti, non potreste lavorare di più in classe? – Mio figlio ha bisogno di un libro e di più esercizi a casa, per capire!
- Consiglio l’adozione di armadietti per tenere i libri a scuola – La prego, insegni lei a mio figlio l’amore per la lettura e lo studio…
- Ancora con i libri? Non sapete che ormai si usano i tablet? – Basta con la tecnologia, è uno strumento diabolico che crea solo dipendenza!
- Gradirei essere costantemente informato su mia figlia – Com’è possibile che mia figlia abbia tutte queste osservazioni sulla scheda?
Credo che ogni insegnante potrebbe scrivere fiumi di parole sui rapporti con i genitori dei propri alunni e spesso si sentirebbero replicare gli stessi racconti. Anch’io ricordo un padre di origine tedesca anche se proveniente dall’Argentina (meglio non sapere il perchè!) che sosteneva convinto “La classe defe marciare come un plotone!”.
Alle critiche che manderei volentieri a spasso dell’elenco precedente aggiungerei le seguenti: “Basta con ‘sto Aushwitz, ormai non se ne può più”, “So benissimo che mio figlio non si impegna ma a qualche scuola devo pur iscriverlo così abbiamo deciso per il liceo…”, “La sua collega/il suo collega non capisce mio figlio, può dirlglielo lei che così non va?” “Eppure le assicuro che a casa sapeva TUTTO!”. “Il suo collega ha dato una nota a mio figlio per rivalità calcistica!”. E qui mi fermo perchè penso possa bastare. Tutto assolutamente autentico sentito con le mie orecchie. Per fortuna ogni tanto ti capita anche il genitore che ti dice: “Mia figlia al venerdì è felicissima perchè ha due ore di italiano!”, sì sì lo so che si chiama captatio benevolentiae ma ogni tanto è anche vero.
Come genitore di due figlioli che frequentano ordini diversi di scuola ne potrei raccontare altrettante ma mi limiterò ad una per figlio, giusto per non fare peferenze! Assemblea di classe del mio grande: prima liceo scientifico tradizionale, scuola publica. Una mamma rivolgendosi alla coordinatrice di classe, la solita martire prof di italiano: “Mi assicura che questa classe ha un livello alto? Perchè sa, mia figlia studia solo se ha un contesto competitivo altrimenti non ha motivazione…”. La prof turbata risponde con diplomazia. Dopo quattro mesi dall’inizio dell’anno la classe si dimostra in effetti rispondente alle aspettative della signora, la figlia invece un po’ meno dato che il 4 in latino e matematica sono ormai cronici.Altra assemblea di V primaria con geniotri dei compagni di mia figlia che frequenta una scuola paritaria della città: “Scusi, maestra, non potrebbe dare più temi ma meno compiti, più libri da leggere ma non quelli che dà di solito perchè a mio figlio non piacciono, magari mi dia altri titoli, anche di libri lunghi…”. Non sto scherzando, purtroppo. Per fortuna trascorro molto più tempo con gli alunni che con i rispettivi genitori altrimenti cambieri mestiere e direi che a questo punto della mia carriera ho una certezza: a scuola non ci si annoia mai, nonostante quel che può pensare chi non la frequenta nel quotidiano. Buon lavoro a tutti
Sono forse un padre degenerato, poco paziente, severo è sicuro, nel senso che se sono stato capace di insegnare qualcosa a mio figlio è stato solo con il metodo del bastone e della carota 2.0. Temo di aver già segnato in parte la sua sensibilità e minato la sua autostima. Però ha imparato, questo sì. Ecco, all’inferno potrò dire questa frase a mia discolpa e non servirà, ok. I genitori dovrebbero rendersi conto che insegnare non è da tutti, io proprio non sono capace di farlo. Rendersi conto che i propri figli non sono geni ma per lo più sono essere normali che avranno una vita fin troppo normale, punto. E a insegnare dovrebbero lasciare fare ai maestri. Per assurdo se i figli fossero scambiati, con una sorta di lotteria insomma, crudele solo in apparenza, l’educazione, e non solo formale, ma nel suo insieme, credo migliorerebbe, la società intera forse, perchè privata del conflitto interiore del genitore, di quel nucleo nero e appiccicoso che lo incolla al figlio, verrebbe spiazzato e spezzato forse quell’incessante proiezione verso di lui, la madre di ogni danno. Basta guardare i padri alle partite. Per assurdo insomma creare un popolo di tutori più che di genitori naturali. Voglio dire che un certo distacco dai propri figli occorre secondo me. Una distanza tecnica. Un problema dei genitori di oggi mi pare che sia questo insistere nel voler essere amico del proprio figlio. Non lo capisco. È assurdo. Mica puoi dire a tuo figlio se tradisci la mamma no? E tuo figlio mica può dirti che fuma canne se sa che poi lo punisci perchè se non lo fai allora quanto meno devi fumare pure tu, e dopo? Comunque, esattamente come uno psicoterapeuta non pratica analisi sulla propria moglie, o un chirurgo non opera sua figlia, così mi piace pensare che i maestri hanno questo privilegio: di insegnare ai figli degli altri, ed è questo a renderli più adatti, almeno nelle premesse.