Poesia e scienza
(L’opera scelta come copertina – cliccare sull’immagine per la visualizzazione completa – è di Annamaria Papalini)
Non credo che l’arte e la scienza debbano per forza definire la natura del loro rapporto.
Un poeta, uno scrittore o artista che sia potrà benissimo avvalersi di una visione del mondo non allineata con le ultime scoperte scientifiche, e nonostante ciò la propria opera non ne subirà alcun detrimento.
Nella mentalità comune, del resto, è ancora ben radicata una concezione della realtà che si attarda su paradigmi scientifici vecchi di decenni, se non addirittura di secoli.
Tuttavia, personalmente ho sempre nutrito un certo interesse per gli ambiti scientifici. Fatico anzi a concepire quella maledetta separazione della cultura in due sfere, umanistica e scientifica appunto, che mi pare generi un colossale equivoco che stia alla radice della condizione psicostorica che in occidente stiamo sperimentando, e che produce non pochi malesseri.
Recentemente, in circostanze fortuite e ludiche, mi è capito di sentir pronunciare il nome di un autore che mi è caro, Antonio Rosa Damasio. I suoi studi sono stati presi come riferimento, abbastanza recentemente, anche da uno scrittore e critico come Giorgio Manacorda per l’elaborazione di una personale poetica. Io mi limito qui, adesso, a riprendere una vecchia recensione che, ragazzo poco più che ventenne, scrissi al libro di Damasio L’errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano (Milano, Adelphi, 1995; allora costava addirittura 50.000 £). So che ad almeno un paio di persone interesserà.
L’ERRORE DI CARTESIO
È proprio vero che “le ragioni del cuore” sono inconciliabili con “la” ragione umana? Ed è vero che la ragione può e dovrebbe essere “pura”? Che tipo di esistenza condurrebbe un individuo guidato da una personalità totalmente razionale, priva di qualsiasi interferenza di emozioni e sentimenti?
E ancora: potrebbe un cervello umano sopravvivere e funzionare in un ambiente artificiale, oppure il corpo è qualcosa di più del semplice supporto su cui esso agisce? La scienza è in grado di spiegare, su basi fisiologiche, il “guazzabuglio” dell’animo umano, ovvero il magma di sentimenti, pensieri, emozioni, stimoli inconsci ecc. che configurano una determinata personalità, il mistero di una vita e delle scelte che l’hanno determinata?
Intorno a queste e a molte altre domande si muove la conversazione che Antonio R. Damasio, neurologo di fama internazionale, interessato in modo particolare alla ricerca sulla neurologia della visione, della memoria e del linguaggio, intraprende con il proprio ipotetico interlocutore. L’indagine parte dall’analisi di casi concreti di individui che hanno subìto una radicale e perniciosa alterazione della personalità in seguito alla lesione di determinate regioni delle cortecce prefrontali del cervello, che tuttavia non aveva provocato nessun danno vistoso (menomazione delle facoltà motorie e locutorie, della memoria e dell’intelligenza) alla persona, apparentemente in grado di riprendere le proprie attività e la propria esistenza senza handicap manifesto.
La tesi del libro è che il sentimento risulta implicato nel modo di operare della ragione e che, in termini più tecnici, i sistemi neurali chiamati in causa dalla ragione e dall’emozione operano di concerto. «Con questo non si nega che l’intervento delle emozioni e dei sentimenti possa causare grande disordine nei processi di ragionamento. […] È, quindi, ancor più sorprendente e nuovo che l’assenza di emozione e sentimento sia non meno dannosa […].
Nei casi migliori, i sentimenti ci volgono nella direzione giusta, ci conducono al luogo appropriato di uno spazio decisionale nel quale possiamo fare bene operare gli strumenti della logica».
Damasio intende il sentimento, tema centrale del suo libro, come percezione dei cambiamenti di fronte ad un oggetto fisico o mentale, del paesaggio del proprio corpo. In questo modo rivendica la cognitività che è propria del sentire umano, troppo spesso relegato ai margini di un sapere asettico e deleterio, al quale, invece, dovrebbe integrarsi.
L’errore di Cartesio, infatti, fu proprio l’infausta separazione di mente e corpo, che ha caratterizzato fino ad ora l’approccio delle discipline scientifiche e umanistiche del pensiero occidentale moderno. L’analisi di Damasio elude la tentazione dello scientismo, non mira ad una riduzione naturalistica dei fatti della coscienza, cioè ad una loro spiegazione meramente neurologica. Il problema del libero arbitrio resta aperto e la dignità dell’essere umano non viene scalfita dalla scienza, che aggiunge, non sottrae, dimensioni al quadro complesso e misterioso, affascinante ed inesauribile dell’animo umano: «una piena comprensione della mente umana richiede una prospettiva integrata: la mente non solo deve muovere da un “cogito” non fisico al regno dei tessuti biologici, ma deve anche essere correlata con un organismo intero, in possesso di un cervello e di un corpo integrati e in piena interazione con un ambiente fisico e sociale».
Il libro di Damasio può essere letto, perciò, anche come un’intelligente provocazione a pensare con tutto il proprio corpo e in armonia con l’ambiente.
A proposito del tema cultura scientifica e cultura umanistica, mi permetto di riportare un estratto dal saggio “La testa ben fatta” dell’illustre filosofo e sociologo francese Edgar Morin. “E’ meglio una testa ben fatta che una testa ben piena: invece di accumulare il sapere è molto più importante disporre di un’attitudine generale (a porre e a trattare i problemi) e di principi organizzatori che permettano di collegare i saperi e di dare loro senso…
Portiamo dentro noi stessi il mondo fisico, il mondo chimico, il mondo vivente, e nello stesso tempo ne siamo separati dal nostro pensiero, dalla nostra coscienza, dalla nostra cultura. Così, cosmologia, scienze della Terra, biologia,ecologia permettono di situare la doppia condizione naturale umana, naturale e meta-naturale. Conoscere l’umano non significa separarlo dall’Universo ma situarvelo. Ogni conoscenza deve contestualizzare il proprio oggetto per essere pertinente. La domanda “Chi siamo?” è inseparabile da quella “Dove siamo, da dove veniamo, dove andiamo?”. Già Pascal ci aveva correttamente situati tra due infiniti…
L’essere umano ci appare nella sua complessità contemporaneamente come totalmente biologico e totalmente culturale. Ciò che è più biologico – il sesso, la nascita, la morte – è anche ciò che è maggiormente imbevuto di cultura. Le nostre attività più culturali – come parlare,cantare, danzare,amare,meditare – mettono in moto i nostri corpi e i nostri organi, tra cui il cervello.
Ormai il concetto di uomo ha doppia entrata: un’entrata bio-fisica, un’entrata psico-socio-culturale ed entrambe si richiamano a vicenda. Come un punto di un ologramma noi portiamo in seno alla nostra singolarità non solo tutta l’umanità, tutta la vita, ma anche quasi tutto il cosmo, con il suo mistero che senza dubbio giace al fondo della natura umana…
E’ la letteratura a mostrarci che ogni individuo, anche il più chiuso nella vita più banale, costituisce in se stesso un cosmo. Porta in sé le sue molteplicità interiori, le sue personalità virtuali, un’infinità di personaggi chimerici, una poliesistenza nel reale e nell’immaginario…
La poesia, che fa parte della letteratura pur essendo più della letteratura, ci introduce alla dimensione poetica dell’esistenza umana. Ci rivela che abitiamo la Terra non solo prosaicamente – sottomessi all’utilità e alla funzionalità – ma anche poeticamente, votati all’ammirazione, all’amore e all’estasi. Essa ci fa comunicare, attraverso il potere del linguaggio, con il mistero che è aldilà del dicibile. Le arti ci schiudono la dimensione estetica dell’esistenza e ci insegnano a meglio vedere il mondo.
Grazie del bellissimo contributo!