Una solitudine popolosa
(L’opera scelta come copertina – cliccare sull’immagine per la visualizzazione completa – è di Laura Gasparini)
Popolazioni di parole che crescono
sulle persone della mia vita
scrivere è sognare i propri
se stessi senza peso
sognare un simile.
Lasciarsi addormentare
su un mezzo pubblico.
(di Roberta Castoldi)
Uno, nessuno, centomila: chi siamo? Qual è il confine fra ciò che ci è più intimo e ciò che è dono d’altri? Se ci guardassimo attentamente nell’animo, scopriremmo che anche ciò che sentiamo maggiormente nostro è il frammento di un’altra persona, è il residuo di una voce altrui, è la forma di un’emozione nata dal contatto con gli altri. Così è per la lingua di un poeta. Per questo leggere e ascoltare sono operazioni fondamentali per la scrittura: l’identità nasce dall’appropriazione della differenza.
«Popolazioni di parole che crescono / sulle persone della mia vita»: non è rimasticamento tutto interiore l’elaborazione del nostro essere e del nostro linguaggio. Ciò che ci fa fiorire è, ancora, il contatto. Ma che cosa giustifica la pretesa del poeta di offrire la propria voce a nome di tutti? Non è una colpa, questa stessa pretesa? Assimiliamo gli altri, costruendo noi stessi, ma anche ci esponiamo, conquistando un senso, sempre attraverso gli altri: persone reali, non figure mentali. La solitudine della scrittura è popolosa. È inevitabile vicenda comune. Questa stessa consapevolezza cancella la colpa: si scrive «senza peso», senza nemmeno poter sciogliere il dubbio se quel «sognare un simile» significhi dare sfogo alla propria molteplicità (dilatando l’io) oppure farla implodere, accogliendo la terribile somiglianza con l’intero genere umano proprio qui, sul nostro volto. Torna ancora in mente Baudelaire, che si rivolgeva al suo interlocutore ideale come a un fratello.
La poesia di Roberta Castoldi (nata a Monza nel ‘71), che leggiamo nell’antologia Parco Poesia, ci ricorda dunque che il confine tra pubblico e privato rappresenta una soglia esistenziale per il poeta. In questa dimensione, che dà adito alla scrittura, la coscienza si assesta a un livello differente rispetto alla norma: si zittiscono le pretese della ragione di un controllo assoluto per lasciarsi portare verso le correnti del sogno. Bisogna cullarsi sulle acque di tutto il nostro vasto essere (anche quello che sfugge alle nostre griglie concettuali) per evocare quell’io che è anche un noi. Per questo possiamo leggere la splendida immagine finale della poesia («Lasciarsi addormentare / su un mezzo pubblico») in tutte le sue molteplici valenze: sereno abbandono, morte iniziatica, sbocco di gioia e di sofferenza, dono e sacrificio, solitudine e condivisione, rinuncia e pienezza d’essere…
Si tratta di un movimento da scandire e da ripetere, rigorosamente, all’infinito.
(da Mosse per la guerra dei talenti, 2007)
Magnifica riflessione
Grazie! È sempre piacevole ricevere un riscontro
Di recente mi è stato ricordato che ogni “io” è in realtà un “noi” (che si voglia o no tirare in ballo la Trinità) e questo vale per tutti, poeti o comuni mortali. Quando poi si scrive ci si rivolge necessariamente ad un altro. Anche chi scrive un diario personale e segretissimo si rivolge ad un altro se stesso in un dialogo che, comunque lo si consideri, deve molto a molti. Chi scrive altro presuppone che ci siano dei lettori in qualche luogo e in qualche tempo che si dedicheranno a quei testi. E la lettura è un atto solitario oppure no? Rimando la domanda al poeta padrone di casa.
Cara Monica, ti ringrazio di aver ripreso delle mie affermazioni. Non ho la pretesa di essere un teologo o di saperla troppo lunga, ma effettivamente a tratti sento come combaciare tante intuizioni che avevo raccolto nel mio percorso. In certi momenti, in certi stati di grazia, quasi percepisco una “visione” del reale… Chissà se è solo un piccolo delirio, una illusione o… se devo prepararmi a tentare la mia (piccola, umilissima) divina commedia…
Comunque, stando alla tua domanda, sì, certo, leggere è l’altra medaglia del medesimo processo, come scrivevo già nell’articoletto: “leggere e ascoltare sono operazioni fondamentali per la scrittura: l’identità nasce dall’appropriazione della differenza”.
Così, magari, invece di tentare la mia divina commedia, o comunque in caso di fallimento, mi basterà leggere quella vera, quella da nominare con le maiuscole.