La “questione Luzi”
(L’opera scelta come copertina – cliccare sull’immagine per la visualizzazione completa – è di Enrico Guerrini)
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Ecco l’introduzione che scrissi per presentare nel 1999 il mio studio sulla poesia di Luzi, anzi, più precisamente, sull’ultima fase della produzione luziana.
PREMESSA PER UNA LETTURA DELLE SUE OPERE ESTREME
1. Intraprendere oggi una lettura complessiva della più recente stagione poetica di Mario Luzi è operazione arrischiata e, allo stesso tempo, necessaria.
Anzitutto, potrà apparire intempestiva l’analisi dettagliata di una ricerca artistica ancora in pieno svolgimento. Mario Luzi, è risaputo, si pone come uno degli autori più prolifici del secolo, il suo percorso non ha mai mostrato pause, rilanciandosi anzi di libro in libro con insaziato anelito speculativo e con coraggio intellettuale; ma, soprattutto, si presenta come poeta in piena attività, immerso in un fervore di scrittura stupefacente, se non addirittura imbarazzante. Persino la precoce e monumentale pubblicazione dell’Opera poetica nella prestigiosa collana dei “Meridiani” Mondadori, nello scorso autunno, non si offre come summa definitiva, dal momento che accoglie un nucleo di testi in qualità di anticipazione di una silloge inedita. Ma a irretire il lettore sarà il fatto che appena pochi mesi prima apparve da Garzanti l’ennesima raccolta aggiornata di Tutte le poesie[1]. Pur trattandosi di piani editoriali differenti, si ha l’impressione di un eccesso di attenzione, al limite di una «dissipazione editoriale»[2].
Ciò si spiega evidentemente con il successo che circonda da tempo la poesia di Luzi. Più volte candidato al Nobel, celebrato all’unanimità come il maggior poeta italiano vivente se non addirittura come il poeta della cristianità – non è un caso che sia stato invitato a commentare l’ultima Via Crucis del Papa[3] –, Mario Luzi è autore noto in tutto il mondo, tradotto e studiato a ritmo incalzante[4]. I fasti celebrativi della generazione fiorentina che animò negli anni Trenta la cosiddetta stagione ermetica (fra cui si annoverano altri ottuagenari tuttora attivi come Parronchi e Bo e altri, come Bigongiari e Macrì, da poco scomparsi) ha concorso a consolidare e rilanciare l’immagine del suo maggior rappresentante. Ma è proprio la spinta derivante da tanto clamore a rendere più insidiosa l’interpretazione delle opere più recenti e il giudizio complessivo sulla sua figura, e non soltanto per il costante aggiornamento cui si dovrà sottostare. All’accertamento filologico avviato rischia di non corrispondere una altrettanto scrupolosa investigazione critica, per una sorta di interferenza emotiva che, seppure in modo subdolo, finisce per condizionare inevitabilmente l’ideale oggettività scientifica cui il critico aspira.
A questi motivi ‘estrinseci’ si sommano poi le difficoltà interne che presenta la produzione luziana, sottesa da un tale afflato di grandiosità da suggerire l’ipotesi di una scrittura totale. Basti considerare che accanto alla produzione poetica non si può trascurare né quella saggistica[5] – interessata sia alla riflessione teorica sia all’esplorazione dei classici italiani e stranieri, non solo contemporanei – né, tantomeno, quella teatrale, a loro volta assai articolate per intenti e per forme adottate (una recente serie di libri-intervista, per esempio, sembra rinnovare il genere della dissertazione dialogica, peraltro in sintonia con gli interessi e il sostrato filosofico che si pongono fin dalle origini alla base dell’itinerario luziano[6]).
Ma le maggiori perplessità sono quelle che il clima celebrativo attuale non lascia trasparire se non in minima parte e riguardano la sostanza stessa del suo lavoro poetico. Si fa riferimento alle implicite motivazioni sottostanti alla mancata attribuzione di un Nobel che da più parti si considerava annunciato e ai timidi, discreti segnali di una insofferenza nei confronti del poeta, soprattutto quando si muovono da sponde ideologiche da sempre in contrapposizione alle radici cattoliche e alle prime manifestazioni “ermetiche” dell’autore fiorentino[7]. Volendo formalizzare la quaestio in modo esplicito si potrebbe dar voce ai dubbi circa la prolissità estrema e lo stile rarefatto, apparentemente conchiuso e autosufficiente, dall’obliquità referenziale al limite del manierismo, che riproporrebbero l’immagine di un autore aristocraticamente assorto nelle proprie ragioni, magari secondo il modello del poeta senex, abbandonato a una vena esausta e tracimante. Si tratta, quindi, di fattori non trascurabili, che interpellano gli ultimi sviluppi della sua poesia, di cui in questa sede ci occupiamo.
2. Le ragioni che invece giustificano il presente lavoro costituiscono il risvolto delle precedenti considerazioni. La pubblicazione dell’Opera poetica a cura di Verdino non si configura soltanto come evento in sé stesso prestigioso, ma come strumento che fornisce anche nuovi elementi interpretativi, quali la ricca cronologia, l’accorpamento dei testi dispersi, l’apparato di note, il riordino complessivo del corpus testuale, l’intelligente intervista e l’accuratissima bibliografia. D’altra parte, lo stesso slancio ermeneutico che asseconda in questi tempi le pubblicazioni e ogni manifestazione letteraria del poeta, assicura pure una spinta positiva per inoltrarsi a fondo, e con passione, nella sua scrittura e nel pensiero che la informa.
La possibilità di accostarsi alla sua figura letteraria e umana diviene inoltre una splendida occasione per addentrarsi nel cammino dell’intera poesia contemporanea, a partire dalle radici romantiche lungo tutte le rivoluzioni – formali, ideologiche, scientifiche e storiche – che scandiscono il Novecento, fino a porsi con lui i quesiti ultimi, fondativi, che l’arte da sempre si pone, ridiscutendo la propria funzione per la coscienza umana e per la società alla fine del secolo, in tempi propizi per una riflessione complessiva sull’esistenza malgrado le frenetiche trasformazioni che ci coinvolgono, cogliendoci troppo spesso impreparati. Il motivo essenziale della poesia luziana è sempre stata, infatti, la memoria dell’umano, l’attitudine a restituire alla coscienza l’enigma dell’essere, ovvero tutti quei movimenti cui partecipiamo inconsapevoli e che accrescono, insieme al nostro grado di sapere, la nostra fragilità innanzi al mistero dell’esistenza. Ma questo, a ben vedere, rappresenta l’‘ultimo orizzonte’ possibile per la poesia tout court, se acquisiamo consapevolezza di ciò che ha determinato la frattura della modernità in seno all’arte ovvero se – ricorrendo alle stesse espressioni di Luzi –
ci rendiamo conto di un cambiamento basilare accaduto, il quale ha segnato a fondo la «mente» del nostro tempo e ha inaugurato, non in forma vistosa ma sostanziale, la nostra stagione. Si tratta né più né meno di questo: l’asse portante del sistema della poesia e delle arti ha registrato uno spostamento graduale dal campo dell’estetica a quello dell’etica, della conoscenza e della conoscibilità del mondo[8].
3. Uno degli scopi di queste pagine è, dunque, quello di fornire, se possibile, una spinta interpretativa retroattiva, che renda giustizia, laddove necessario, a un autore troppo spesso letto alla luce dell’ermetismo e malgré tout ancora oggi, almeno didatticamente, compresso su quella formula critica, che peraltro necessita di specificazioni accurate per non perdere funzionalità. Il privilegio di assistere a una manifestazione poetica così alta nel suo pieno svolgimento comporta anche il dovere di trarre dalla situazione tutti i benefici possibili, magari per illuminare le vecchie categorie alla luce del percorso novecentesco che ha sancito il graduale – ma spesso traumatico – spostamento dell’arte dal dominio del bello a quello del vero.
Qui non si intende stravolgere il piano progressivo della lettura dell’opera luziana ma, se l’attuale stagione letteraria si comprende a partire dalle premesse e dalle vicende che ne hanno contrassegnato il cammino, è altrettanto giusto riconoscere il valore esegetico delle ‘conseguenze’ per illuminare le ragioni profonde di un itinerario intellettuale così coerente e allo stesso tempo complesso, sempre in discussione e lontano da acquiescenti compromessi. Affermava Luzi di apprezzare, nei grandi poeti come Dante, Leopardi, Hölderlin e Rimbaud, «la freschezza sempre più pura delle percezioni, il cammino cioè verso il semplice, il primario, l’essenziale. E d’altra parte la rapida saturazione della lettera, la non soddisfazione della forma raggiunta; l’infrazione della regolarità per la libertà, per la vita, per lo spirito»[9]. Questo principio di apertura al presente, di patimento perenne del nuovo, spiega intimamente il «contrasto di maniere» (Contini)[10] infine approdato al poema per frammenti, al canto pulviscolare che rende la narrazione in un baluginio metamorfico di particolare e universale, ‘terrestre’ e ‘celeste’.
Eppure, la natura di questa poesia nelle sue recenti manifestazioni lascia prevedere una futura fase di distacco della critica e dell’attenzione generale, non soltanto in virtù dei corsi e ricorsi delle alterne mode letterarie che preparerebbero un moto di rivalsa rispetto al magistero luziano e ai canoni poetici che rappresenta, ma soprattutto per le difficoltà di ricezione del carattere di questa poesia, tanto prossima alle proprie ragioni di fondo quanto ardua nell’incandescente visionarietà e nella sublimazione linguistica. Se la poesia è andata ridefinendosi integralmente entro nuove coordinate epistemologiche, l’orizzonte di attesa del lettore non sembra ancora del tutto pronto a recepirne i messaggi, essendo impostato su frequenze legate a un modello stereotipo del poetico (l’arte ancora sotto il dominio dell’estetica). Anche per questo il momento è propizio per offrirsi in un ruolo, indispensabile, di mediazione critica, affinando gli strumenti interpretativi e le nozioni di riferimento fin qui a disposizione del lettore.
4. Qualche precisazione sul metodo che si intende adottare pare ora necessaria.
Osserva Mario Luzi:
i capi d’opera – e alcuni veri capolavori – della produzione poetica di questa epoca impongono ex novo il criterio secondo cui debbono essere giudicati e perfino il metodo di lettura che a loro più conviene. Ciascuno di essi, più che trovare la propria collocazione in una supposta, sia pure dibattuta continuità, sembra operare una demiurgia singolare nel campo della cultura coeva: e questo è tanto vero che metodi e metodologie critiche sono fiorite proprio dallo studio e dalla suggestione dell’opera poetica. È un fenomeno, questo, e non un epifenomeno, da considerare con ogni riguardo, analogamente all’altro della centralità del tutto imprevista che teologia e filosofia avrebbero attribuito nei nostri tempi alla scrittura del poeta moderno: come fonte di illuminazione e come testo aperto di meditazione.[11]
Ma se il critico non può appellarsi né all’estetica né ad altre discipline per assicurarsi un metodo certo di valutazione dell’opera poetica, investita in primis di una portata gnoseologica trascinante, risulta chiaro il fatto che il disorientamento del lettore “comune” è in parte la condizione stessa in cui si trova anch’egli a operare, con la sola attenuante di una più radicale dedizione e di una minuziosa ricomposizione di tutti gli elementi significativi che è in grado di rintracciare dispersi nel testo e capaci di indicare la via di una loro corretta esecuzione. Ed è per questo che, senza l’ausilio di una griglia capace a priori di recepire l’atto poetico radicalmente nuovo cui assistiamo, il quale a partire dal simbolismo ha acquisito sempre maggiore autocoscienza fino a porre il proprio dilemma alla base di ogni creazione, si profila il criterio della lettura organica, del circolo ermeneutico che rimanda continuamente dal particolare al sistema, dalla struttura interna di un testo agli orientamenti complessivi dell’opera, attraverso una continua ricerca di conferma e coerenza delle proprie ipotesi passando fra tutti i livelli (lessicale, metrico, stilistico, semantico) messi in gioco dall’organismo testuale. Non è dunque possibile leggere in una prima fase interpretativa nemmeno una poesia delle ultime raccolte di Luzi estraendola dal contesto, dal momento che in esso si dovranno verificare le ipotesi via via emerse. Per riprendere un’immagine di Luigi Baldacci, diremo che l’unico metodo che ci sembra possibile è quello di lasciarci «imporre dai testi la chiave di lettura che essi portano dentro di sé, come un apriscatole incorporato alla scatola stessa»[12].
A una poesia fenomenica, che non crede alla propria sussistenza aldilà degli eventi da cui si origina, vorremmo affiancare una lettura altrettanto fenomenica, che non sussiste fuori di questo particolare gesto poetico e che sia invece capace di attivare una determinata opzione esegetica nel momento in cui sarà il testo a richiederlo. Anche per questo motivo la struttura saggistica del presente lavoro ricalca quella poematica dell’oggetto.
Tale procedimento eclettico, che comporta evidentemente rischi maggiori rispetto a un metodo precodificato, dovrebbe sopperire all’apparente mancanza di ordine con la cogenza complessiva di un discorso che non può, né vuole, offrire una panoramica, bensì affrontare dall’interno le suggestioni offerte dalla creazione, immergendosi anch’essa nel ‘magma’, senza giudizi di fondo precostituiti in prassi accertate e perciò stesso pregiudizievoli rispetto a nuovi possibili intuizioni interpretative. Predisporre il lettore alla corretta e più intensa esecuzione del testo resta il massimo obiettivo critico: ogni altra indicazione risulterà pertanto funzionale all’impatto personale con la poesia del nostro maggior poeta.
NOTE
[1] L’opera poetica, a cura e con un saggio introduttivo di S. Verdino, Milano, Mondadori 1998, pp. CXIV, 1932, è apparsa nel mese di ottobre, mentre risale a maggio la stampa di Tutte le poesie, Milano, Garzanti, 2 voll. Sempre presso Garzanti erano apparse già due raccolte complete dei testi poetici: Tutte le poesie del 1979 comprendeva Il giusto della vita e Nell’opera del mondo, mentre l’edizione del 1988 si arricchiva, nella terza sezione omonima, di Per il battesimo dei nostri frammenti. Per quanto riguarda il libro in fieri di Luzi, di cui si dà anticipazione nell’Opera poetica, si veda ora S. Ramat, Sul nuovo Mario Luzi: il lessico della luna nascente, «Poesia», XII, 32, 1999, pp. 2-10.
[2] S. Crespi, Navigare col cuore nel nostro tempo, «Il Sole-24 Ore», 8 novembre 1998.
[3] Cfr. ora il libretto di Luzi, La Passione. Via Crucis al Colosseo, Milano, Garzanti 1999 e, per una prima lettura critica dello stesso, la recensione di S. Ramat, «Poesia», XII, 131, p. 55.
[4] Cfr. il regesto delle principali traduzioni delle opere di Luzi nella bibliografia a c. di Verdino nell’Opera poetica cit., pp. 1843-5
[5] Anche se G. Contini giudicava lapidariamente i saggi di Luzi «di natura meno innovatrice» rispetto alla poesia (La letteratura italiana. Otto-Novecento, Firenze-Milano, Sansoni-Accademia 1974, p. 379), è evidente che, all’interno del ‘sistema’ che costituisce il complesso delle attività dello scrittore, non è possibile prescindere dalle occasioni di riflessione intorno alla natura della poesia e della letteratura.
[6] Cfr. in particolare M. Luzi – M. Specchio, Luzi. Leggere e scrivere, Firenze, Nardi 1993 (ora: nuova ed. accresciuta con titolo Colloquio. Un dialogo con Mario Specchio, Milano, Garzanti 1999) e La porta del cielo. Conversazioni sul Cristianesimo, a c. di S. Verdino, Casale Monferrato, Piemme 1997.
[7] Cfr. M. Merlin, Il peccato originale di Luzi, «Atelier», II, 8, pp. 20-5 (ora in M. Merlin, Nodi di Hartmann, Borgomanero, Atelier 2006, pp. 55-63) e A. Donati, I più giovani lo ammirano ma lo sentono “lontano”, «Il Giorno», 19 settembre 1994.
[8] Osservazioni possibili su un secolo di poesia, Poesia italiana del Novecento, a c. di E. Krumm e T. Rossi, Milano, Banca Popolare di Milano-Skira 1995, pp. 11-2.
[9] Spazio stelle voce. Il colore della poesia, a cura di D. Fasoli, Milano, Leonardo 1992, p. 21.
[10] La letteratura italiana cit., p. 379.
[11] Osservazioni possibili cit., p. 13.
[12] A un critico letterario del futuro, Aa. Vv., La moneta di Caronte. Lettere e poesie per il terzo millennio, a c. di G. Sicari, Milano, Spirali-Vel 1993, pp. 149. Su questo stesso volume si può leggere l’intervento di Mario Luzi dal titolo L’avventura di restare, pp. 27-9, poi riedito sulla rivista «Dialogica», 2, dicembre 1995.
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