La morte di un angelo, fotografia di Wanda D'Onofrio

Quattro poesie

(L’opera scelta come copertina – cliccare sulla immagine per la visualizzazione completa – è di Wanda D’Onofrio)

Queste quattro poesie sono accomunate dalla presenza dell’angelo, presenza alla quale mi è già capitato di accennare qualcosa. La prima era apparsa solo in Così pregano i poeti. Raccolta di preghiere in forma poetica (San Paolo, 2001) e dev’essere stata scritta uno o due anni prima almeno; le altre tre fanno parte della raccolta Terramadre (2012).

Degli angeli ciascuno è tremendo
R.M. Rilke

PREGHIERA

Angelo di Dio
.           nell’angolo di gelo
che sei il mio custode
.           e sai chi ci uccide
illumina custodisci
.           nascondi e ripulisci
reggi governa me
.           la lama dei perché
che ti fui affidato
.           e Gesù ha affilato
dalla Pietà celeste
.           nel cruore terrestre

.          

PRINCIPIO

Certe mattine il cielo è una promessa.
Quasi felice
scende in paese e impara
che non c’è più perdono
davanti alle colline.
Ma come dirglielo, con quale cuore,
che l’angelo di lì non è passato,
ch’è di tutti la tristezza che prende
caduti nell’infinitudine

 

FINO A CHE SIA LIMPIDO

C’è un dettaglio importante in ogni storia
e un passaggio segreto anche per lui
da cui filtra la scena
di età in età come uno sparo
fino a rendere perfetta la vita
(tanto che potrebbe, svoltato l’angolo
serenamente anche morire):
.           .           .           .                l’angelo
ritorna a fare piena
la gola coi ricordi,
a dare pena, erranza. Così lui
parole inumidisce
per l’umano poema che non sa
e va scrivendo,
segue un bambino in un regno di senso
chiedendosi non come sia ad alcuno
dato morire subito,
ma come gli altri continuino a vivere

 

LA CRUNA DEI SOGNI

Nulla ricorda, eppure è certo
che quando urlò al medico
che non avevano chiamato lui,
perché sul foglio c’era il nome di suo fratello,
zitto! gli rispose,
i polmoni sono l’ultimo organo a formarsi
e quando il fiato dell’angelo è sceso sulla rosa,
la rosa è esplosa. Allora fu in terrore,
cercò il volto bello dell’infermiera.
Lei più non c’era;
colei che riconobbe
‘gioirà del suo canto nell’attesa’
avendo inferto la bianca ferita,
ma per la forza dei giorni
si avvinse al fianco disarticolato
della sola che pronunciò il suo nome.
Si sentì Ulisse impalato che sviene
alle bocche avvolgenti;
ascoltò come un cieco sulle palpebre il sole,
finché fu tempo.
Si risvegliò nel giardino di Armida
soffrendo fra le costole
l’ombra del fiore,
e da allora gli sembra
di ricordare qualcosa qualcuno
nella risacca che lambisce
il talamo e la rosa, il calamo e la sposa.

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