Elogio della lentezza (sulla lettura interpretativa)
Nella scuola primaria gli alunni sono spronati a leggere il più velocemente possibile. E, certamente, la scorrevolezza nella lettura è una competenza preziosa. Io molto spesso, però, nella scuola secondaria, sono costretto a lavorare sulla lettura lenta.
Così ogni tanto invito i miei studenti a prepararsi alla “recita” di un testo. Si tratta di un brano che ho letto e commentato in classe e sul quale ho spiegato la mia interpretazione, motivando pause e intonazioni. Non sono certamente un attore, spesso mi trovo anche in contrasto con le interpretazioni date da alcuni attori a certi testi, ma trovo necessario e importante lavorare (possibilmente in modo pratico) su queste competenze con i ragazzi. A loro spiego che, grazie a questo lavoro, “tocco” zone interiori significative. Per esempio, devono imparare a gestire le emozioni, a collocarle non in loro, ma nel testo. Arrivo qualche volta a spiegare che le emozioni, come i pensieri, sono essenzialmente movimenti, interiori o esteriori, fisici o mentali: controllate i movimenti e guiderete anche le emozioni…. Non è semplice, ma spesso è divertente.
Uno degli aspetti che mi sorprende ogni volta è la loro incapacità a leggere lentamente. Spesso ricorro al cronometro e propongo un esercizio: la lettura “normale” di un testo, senza enfasi, puramente funzionale (occorre essere chiari, rispettare le pause, pronunciare bene le parole, in modo da renderle “rotonde” nella bocca, ecc.), seguito dalla lettura lenta del medesimo testo. Il risultato è sorprendente: il cronometro testimonia immancabilmente che la variazione è del tutto insignificante. L’ultima volta, sull’Infinito di Leopardi, si è passati da 48 a 50 secondi. In questi casi, mi cimento anch’io. All’incirca, nel mio caso i tempi sono passati, l’ultima volta, da 50 secondi a oltre un minuto e mezzo. Spiego le mie pause, e mi rendo conto che, anche alla precisa richiesta di imitare la mia lettura, faticano a “eseguire” il testo nel modo indicato.
Se la logica che ho seguito non è del tutto errata, dovrei concludere che se non sono in grado di eseguire i movimenti che insegno, non riescono a sentire le emozioni del testo (non le proprie! Non quelle che cercano di “buttarci sopra” a partire da una loro interiorità indistinta e pulsante!). Sarei anche più drastico: non riescono a capire, concettualmente, il testo, nemmeno quando è stato spiegato a dovere. Così insisto nell’esercizio, presentendo che quando domineranno fisicamente la poesia, la domineranno anche intellettualmente.
Tralasciamo ovviamente il problema della complessità di una poesia come l’Infinto di Leopardi, che addirittura aumenterebbe se ci impegnassimo a leggerlo alla luce di tutto il pensiero leopardiano (però, seguendo il mio ragionamento, se riuscissero a recitare compiutamente quei versi, in fondo li avrebbero intesi del tutto, senza semplificazioni falsificanti…). La spiegazione che offro alle classi delle scuole medie è semplificata a un livello che mi pare accettabile. Eppure, le difficoltà permangono.
Nell’ultima occasione mi sono divertito allora a “somministrare” ai miei studenti due differenti letture della poesia in questione. Il mio obiettivo non era stabilire quale fosse la migliore o pretendere che ne imitassero una. Mi premeva dimostrare come un unico testo potesse “suonare” diversamente, come si prestasse a una interpretazione diversa.
Mi sono affidato, ovviamente, alla lettura di Gassman e a quella di Bene.
Risentiamo la prima:
Ai ragazzi questa sembra una lettura ottimale. È un’esperienza che si aspettano. Ora, non arriverò ad affermare che in tale interpretazione si percepisca il proverbiale birignao, ma certamente è una lettura romantica, che cerca di conferire colore al testo, di “farlo vibrare emotivamente”.
Questa è la lettura di Bene:
Ovviamente, di fronte a questa interpretazione i ragazzi rimangono spiazzati. Non c’è nemmeno bisogno di chiederglielo, basta guardarli in volto mentre ascoltano. La lettura trasmette angoscia. Se poi la si propone con il video in cui compare Carmelo Bene con il suo sguardo indemoniato, l’effetto che si ottiene è ancor più impressionante.
Se mi sembra di aver di fronte ragazzi in grado di cogliere la spiegazione, cerco di dire loro che la prima lettura, quella di Gassman, ha come oggetto quelle specifiche parole, senza che sia importante chi le abbia scritte. Sono le parole di uno che guarda romanticamente il paesaggio e lo traduce con quelle specifiche immagini. La seconda lettura invece sembra più consapevole del pensiero leopardiano. Non ne faccio una questione filologica, ma certamente, se il pessimismo storico o addirittura cosmico di Leopardi (anche se l’Infinito è fra i componimenti giovanili) non è solo una formuletta scolastica, ma una radicale concezione della vita, non c’è dubbio che è l’interpretazione di Bene a dargli voce. L’infinito di Gassman è la vaghezza romantica che ci portiamo dentro come uno stereotipo; l’infinito di Bene è l’abissale concetto matematico che espone l’uomo alla totale vanità in seno all’universo e allo scorrere del tempo.
In questi momenti laboratoriali, comunque, quel che conta è la precisione dell’esercizio. Per questo mi affido ai dettagli.
Prendiamo qui in analisi solo l’ultimo verso della poesia, il celeberrimo «e il naufragar m’è dolce in questo mare».
La lettura “base”, senza enfasi, ben scandita, è più o meno questa:
A questo punto, ai miei ragazzi ho sottolineato la tensione che c’è fra “naufragar” e “dolce”. Si tratta di un’immagine ossimorica, la dolcezza del naufragare è una sorpresa che in qualche modo deve esplodere. Una possibilità è inserire una pausa fra i due termini e cercare di impostarne la pronuncia su due toni diversi, il primo più basso, il secondo più alto. Il pericolo del birignao consiste nella perdita di naturalezza, per cui occorre evidentemente molto esercizio.
Un esempio (pessimo, lo so, ma non importa) di questa interpretazione è il seguente:
Ora, quel che qui interessa non è la qualità effettiva dell’interpretazione (peraltro “recitare” un singolo verso, strappato all’insieme, è terribile), ma il disegno che si vuole compiere con la voce: pause e cambi di tono hanno una loro radice nel testo. Il mio programma modula così le diverse letture: la prima:
La seconda:
Provare a leggere in modi radicalmente diversi, che siano motivati da un’analisi del testo, è un esercizio straordinario: si gioca con il corpo e con la voce, e nello stesso tempo si prepara la mente a concepire concettualmente.
Il vero sapere è incarnato. Apprendere è un atto erotico.
La mia preferenza per la lettura di Bene rispetto a quella di Gassman ( scolastica, perfettamente romantica, ineccepibile) la devo non tanto alla maggiore quanto probabile consapevolezza che il primo avesse della visione e concezione Leopardiana dell’esistenza rispetto al secondo, ma appunto alla sua sinuosità e originalità. Personalmente non credo francamente che sia possibile accertare che il primo sapesse di più e meglio del secondo interpretare questa o qualunque altra poesia di Leopardi però, non in senso assoluto assoluto almeno: nessuno sa come la poteva leggere Leopardi stesso la sua poesia, esattamente come nessuno sa come Beethoven eseguiva la Pastorale. Possiamo scrivere tutti i trattati che vogliamo ma noi non c’eravamo, punto. Bene, nella cadenza infonde l’inaspettato, del quasi fastidioso che si fa per questo ascoltare; e contrappuntando in almeno tre diversi punti un tono interrogativo, in salita, laddove ci si aspetterebbe invece una lapidarietà, elude la scontatarezza della prima versione. Ma questo io credo sia dovuto più a scelte che questi due diversi attori molto diversi tra loro hanno compiuto riguardo ai testi e alla loro stessa vita. Mi pare che il primo, Gassman, abbia sempre cercato una fedeltà, o presunta tale fedeltà, al testo. Mi riferisco anche alle tragedie di Shakespeare che alle mie orecchie almeno, mi suonano tonde, lineari, intense….il S econdo invece ha sempre fatto di tutto, a volte fin troppo, sempre per le mie orecchie, per rompere il testo, di annientarlo prima e di trovare nei detriti qualcosa che prima non c’era. Se dovessi paragonare Bene a un pittore direi Bacon. Eccedeva quanto questo nella parola.
Se ascolti, sempre di Bene, Odimi Astarte, di Byron, ( per me bellissima letta da lui) sarai d’accordo con me che il finale interrogativo e/o interrotto, strappato via, aspirato, non come fosse il ” classico” finale di un testo, come se ci fosse un punto ( un punto definitivo con tanto di mento che cade sul petto) , ma un baratro e il suo breve eco, è identico, ma proprio identico a quello che usa nell’infinito.
Vorrei dire che la lettura specifica di questa poesia, fatta da Bene, era secondo me insita nella sua timbrica, nella sua ricerca personale, mentre quella di Gassaman ha più come scopo quello di restituire una fedeltà suggerita appunto dalle parole stesse e dalle immagini che il testo appunto offre per primo. Resta fedele diciamo al testo, se si può dire. Trovo assolutamente normale che i tuoi ( fortunati) ragazzi preferiscano questa versione di Gassman e in fondo auspicabile. In entrambi i casi, e qui è il mistero, nessuno sa e mai saprà come Leopardi la leggeva, magari egli stesso avrebbe apprezzato più la lettura di Gassman e non credo affatto che questo sia improbabile…e se a noi piace di meno non potrebbe essere solo perchè siamo nel 2016 ?
Altra cosa: davvero interessanti questi articoli, queste esperienze dirette, di laboratorio, anche sulla lettura adesso, la voce, sull’uso della voce, le pause, l’uso degli a capo, spero ne farai ancora e ancora. Sempre più specifici….Ho definito fortunati i tuoi ragazzi ai quali insegni perchè magari a me mi avessero fatto lezioni così. Mi dicevano: studia a memoria questa poesia e io la studiavo e quando non la studiavo, l’attaccavo con il nastro adesivo alla schiena del mio compagno seduto davanti e fine.
Ciao.
Grazie per l’intervento, molto articolato, Massimiliano. So che il tema ti interessa particolarmente.
Solo una precisazione da parte mia: quando ho suggerito l’idea che Bene fosse più vicino a una interpretazione di Leopardi, non intendevo affatto affermare che noi possiamo sapere o ricostruire la lettura del “caro zio Jack” (così, almeno, è noto ai miei studenti), che immagino possa essere stata anche varia a seconda dei vari momenti-periodi della sua vita. L’Infinito è una poesia giovanile, peraltro. E so benissimo che Bene ha un suo “stile”, una sua “poetica”, che viaggia anche di testo in testo. Bellissima la tua immagine: distruggere il testo per farne venire fuori qualcosa d’altro, che però era nel testo. Da parte mia intendevo suggerire che lo stato di angoscia veicolato da Bene corrisponde meglio al “pessimismo cosmico” di Leopardi. Insomma, quando parlo di Leopardi intendo proprio il poeta, ovvero il sistema delle sue opere, non certamente l’uomo. Io stesso sarei lieto di trovare una interpretazione diversa dalla mia eppure lecita da parte di qualcun altro, magari in grado di sorprendermi, di svelare il testo a me stesso. Ciò che rende “lecita” una lettura rispetto a un’altra, non è il giudizio dell’autore, ma l’opera.