Il baricentro del Novecento. Intervista su Luzi
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Ringrazio Emiliano Ventura, della Fondazione Mario Luzi, che ha voluto dedicarmi questa intervista, e patrialetteratura.com che l’ha ospitata. Con questa testimonianza chiudo (almeno per ora), la mia “monografia” a puntate sul poeta fiorentino.
Andrea Temporelli è poeta, saggista e insegnante, è stato per tanti anni, quasi venti, direttore di una rivista di poesia Atelier, ora è editore e curatore di un bel sito internet che accoglie gran parte della poesia italiana del Novecento. Tra i tanti poeti non manca Mario Luzi, anzi al poeta toscano Andrea sta dedicando ampio spazio e visibilità. Nel giro di un mese ha pubblicato diversi contributi che idealmente vanno a formare una vera e propria monografia a puntate sull’ultima stagione poetica di Mario Luzi; ad ogni contributo si unisce anche un’immagine del poeta resa da un artista diverso ogni volta. Si tratta di un’operazione raffinata e al tempo stesso di contenuto teoretico importante.
Andrea la tua tesi di laurea è stata su Mario Luzi, mi piacerebbe conoscere il contesto, la scelta e l’argomento del tuo studio.
Mi sono laureato all’Università Cattolica, dove ho studiato Lettere Moderne. Qui l’attenzione per Luzi era consolidata da tempo, ma soffrivo il fatto che nel Dipartimento la ricerca, non solo riferita a questo autore, ma a tutta la poesia contemporanea, non fosse affatto contemporanea, ma attardata su temi, valori (e autori) vecchi di decenni. Per questo chiesi di occuparmi delle ultime opere di Luzi – peraltro quelle più problematiche nell’interpretazione e nella valutazione. Il professore che mi seguiva, Enrico Elli (il cui corso monografico era stato sul concetto di “forma” nelle lettere di Carducci!), non si oppose, anche perché sapeva della mia presenza nella letteratura in fieri grazie alla rivista Atelier.
Tu hai conosciuto di persona Luzi, lo hai intervistato, c’è una foto che hai pubblicato in cui compare con la tua rivista Atelier sotto braccio, puoi raccontare di questa occasione.
Ho incontrato Mario Luzi diverse volte, anche se, come racconto nell’autoritratto sul mio sito, come scrittore e come persona non ho voluto accodarmi ai vari “maestri” che ho conosciuto, o semplicemente non ho voluto approfittare troppo della loro disponibilità, per cui anche con Luzi non ho sgomitato per inserirmi e stare nella “carovana” di individui che, a vario titolo, lo seguivano.
Alcuni incontri sono stati dettati, ovviamente, dal mio lavoro per la tesi. Sono dunque stato a casa sua in diverse occasioni per sottoporgli le mie osservazioni e per intervistarlo. Ma come direttore di Atelier, mentre ero ancora studente di Lettere (senza un argomento di tesi già certo), organizzammo un convegno a Firenze sul rapporto fra il sacro e la letteratura, e potei sedermi in salotto con Luzi per progettare insieme a lui questo evento, che nasceva dalla collaborazione fra la mia rivista e un’associazione presieduta appunto dal poeta fiorentino. Ho avuto così l’onore, in una sala del convento di Santa Croce, di sedermi accanto a relatori illustri e accademici mentre ero ancora studente, oppure, il giorno successivo, alla Certosa di Firenze, mi è capitato di parlare del percorso poetico di Mario Luzi con lo stesso autore presente fra il pubblico ad ascoltarmi.
Il primo incontro, però, avvenne nel novembre del 1993. A Pistoia, durante la cerimonia conclusiva del Premio La Pira (io partecipai per la sezione “giovani poeti”), ebbi modo di intrattenermi con lui, che veniva premiato per la carriera (ma tenne anche un discorso su La Pira, che ovviamente conobbe e frequentò). Altre volte lo incontrai durante sue conferenze o presentazione di libri. A Milano, proprio durante una presentazione, potei assistere al primo e forse unico incontro fra Mario Luzi e Alda Merini, con quest’ultima che se lo abbracciò con un certo trasporto e con quell’atteggiamento spontaneo e civettuolo, ma sempre molto genuino, che la contraddistingueva.
La fotografia con Luzi che tiene sottobraccio Atelier fu una sorpresa anche per noi della rivista, la trovammo un giorno su qualche giornale. La prendemmo ovviamente come un segno di stima, anche se per la rivista, per esempio, pur occupandoci di Luzi a più riprese, non gli chiedemmo mai degli inediti. Li avremmo ricevuti senza difficoltà, ma eravamo convinti di doverci guadagnare autorevolezza sul campo in modo più diretto, anche attraverso la pubblicazione di autori sconosciuti, fieri della nostra libertà anche in rapporto agli autori affermati che seguivamo e stimavamo.
Tu stai facendo un lavoro molto originale e approfondito sul tuo sito, una volta a settimana circa editi un contributo importante su Luzi, sembra proprio una monografia a puntate, vorrei che spiegassi meglio questo ‘progetto’ editoriale.
Da qualche mese, dopo aver abbandonato l’impegno della rivista che a suo tempo ideai (che tuttavia continua la sua avventura), riverso passioni e interessi sul mio sito personale. Dietro a questa nuova prospettiva di lavoro, che può sembrare semplice e in linea con i tempi, si nasconde una poetica e una progettualità ben precisa, che non posso riassumere qui (racconto questa svolta personale sempre sul sito, alla voce “Profezia”). Mi piace, in questo spazio sul web, ridare vita anche ai miei lavori precedenti e così, sulla spinta di un’attività didattica che riguardava Luzi, ho pensato di ripubblicare i vari materiali a disposizione, a partire da una piccola monografia digitale che nasceva, semplicemente, come la riedizione di vari interventi apparsi sulla rivista Atelier, che rendemmo a suo tempo disponibile sul sito della rivista.
Essenzialmente ti stai dedicando all’ultima fase della poesia di Luzi, quella che lui stesso ha definito Frasi nella luce nascente, è sicuramente un corpus di opere con forti accenti metafisici, posso chiederti come mai? È una tua affinità o senti che è un ‘terreno’ meno battuto di altri?
Certamente mi interessa anche perché è un terreno meno battuto di altri, ma sono attratto da questa porzione del lavoro di Luzi anzitutto per la poetica da cui nasce. Ci sono elementi, in essa, che mi infastidiscono e mi respingono, ma mi sembra di aver colto che anche questi aspetti, che la rendono una produzione equivocabile e a tratti veramente ardua o persino di incerta valutazione complessiva, sono connaturati a una importante acquisizione letteraria, anzi, non solo letteraria. In una battuta, direi che l’ultimo Luzi, dando compimento all’intera traiettoria del suo percorso, sposta (o potrebbe spostare, se venisse assimilata) l’intero baricentro del nostro Novecento poetico, ancora troppo centrato su posizioni montaliane. Il nostro canone poetico attuale è ancora legato a una razionalità troppo sicura di sé, forse persino compiaciuta nel proprio scetticismo di fondo (che, sia chiaro, è un pregio, anche se non va assolutizzato). Insomma, rispetto al saper dire solo “ciò che non siamo, ciò che non vogliamo” o all’atteggiamento ironico di fronte a tutte le manifestazioni del reale, mi sembra che l’ultimo Luzi, così inquietamente inquisitorio e capace di intuire in ogni evenienza del reale la manifestazione di un “grande codice” sommerso e indecifrabile, sia un piccolo ma fondamentale passo in avanti gnoseologico.
Hai toccato un punto focale, con Luzi si ‘sposta il baricentro del nostro Novecento’, ma c’è ancora molta reticenza verso questo spostamento. Mi ha colpito la tua affermazione che in quinta ginnasio state studiando Luzi, io con la Fondazione Mario Luzi ho pubblicato un testo per le scuole superiori che conteneva i profili di Montale Luzi e Pasolini, le scuole che lo hanno adottato e hanno richiesto un seminario si sono sempre concentrate su Montale e Pasolini, Luzi è considerato ancora troppo attuale e molto raramente viene incluso nei programmi, per te non è così, potresti approfondire?
Luzi è un autore su cui pesano alcuni pregiudizi e alcuni caratteri della sua persona e della sua opera. A causa di questi pregiudizi e caratteri l’interpretazione della sua poesia è ancora parziale e continua a trovare “zone di resistenza”. In sintesi, ne evidenzierei cinque.
Anzitutto, il peccato originale che lo contraddistingue è connaturato al suo ermetismo giovanile. La storia a un certo punto ha imposto il prototipo dello scrittore impegnato e ha riversato sui giovani di quella stagione prebellica delle colpe storiche a volte esagerate. Luzi – secondo la visuale di alcuni – ha attraversato la Seconda Guerra mondiale, insomma, senza purificarsi, senza trovare un proprio “esile mito” cui aggrapparsi.
Luzi è poi un poeta cattolico, per cui risulta sospetto al filone critico novecentesco che, alla lunga, ha dettato il canone. Nello stesso tempo, il suo cattolicesimo si è rivelato negli anni sempre meno rigidamente ortodosso, a tratti persino aperto a suggestioni New Age, sicuramente più avventurato di quel che si pensasse: perciò, anche all’interno di un orientamento cristiano si è accumulata qualche perplessità latente.
Terza ragione: Luzi è un letterato e con questo profilo ha attraversato le vicende del secolo. Ha mantenuto insomma un tratto aristocratico, accademico, un po’ distaccato.
Eppure (quarto problema) non ha trovato la “fedeltà” di un critico di eccellenza. Si pensi a quanto abbia inciso nella fortuna di Montale la predilezione per il poeta genovese da parte di Gianfranco Contini (Una lunga fedeltà è giusto il titolo di studi cui si allude) oppure l’applicazione alla sua poesia di molteplici scuole interpretative diverse. Si pensi anche a Sereni e Isella, per provare un altro paragone. Su Luzi invece si sono alternati molti critici, ma francamente per decenni ci si è persi in una lettura molto contenutistica e fiacca della sua opera. Quando sono emersi studiosi di pregio, i tempi erano cambiati e il prestigio della critica aveva segnato il passo.
Detto questo, il limite interpretativo dell’opera luziana che più mi interessa, come in parte ho già accennato, è quello legato alle criticità della sua ultima stagione poetica, che è eccessiva, esondante, stilisticamente di maniera, ripetitiva nei moduli, manieristica, ed altro ancora. Finirei per dire che, rompendo gli argini “novecenteschi”, il fiume della poesia per Luzi dilaghi a tal punto da rimettere in discussione la possibilità stessa della valutazione, secondo i parametri tradizionali. L’esperienza luziana cerca una nuova forma di lettura. Ho l’impressione che Luzi fosse in qualche modo consapevole degli “eccessi” della sua scrittura, ma la poetica che lo aveva investito gli impediva allo stesso modo di “gestire” l’evento creativo. L’ultimo Luzi, insomma, ci consegna un autore che non può più, aristocraticamente, misurare la sua opera, dargli forma, perché ormai immerso, affondato, perso in nuovo rapporto conoscitivo con il reale.
Mi è piaciuto molto il tuo scritto che pubblicasti nel 2005 subito dopo la morte del poeta, quando ti chiamasti fuori da commenti, ricordi e testimonianze, citi l’epigramma un po’ velenoso di Pasolini (Questi servi [neanche pagati] che ti circondano, chi sono? A che vera necessità rispondono. Tu taci, dietro a loro, con la faccia di chi fa poesie: ma essi non sono i tuoi apostoli, sono le tue spie) e accenni giustamente a quanti docenti si son creati una carriera su Luzi. Il tuo scritto rappresenta quasi una simmetria con il pensiero luziano, un distacco dai ‘corridoi della letteratura’ o dalla ‘burocrazia letteraria’. Mi colpisce proprio questa sintonia, e vorrei chiederti, a distanza di dieci anni di tornare su questo punto.
Non saprei dire se c’è qualche simmetria tra il mio atteggiamento nei confronti della letteratura e quello di Luzi. Io per esempio non ho mantenuto rapporti con l’università. Però spero di aver intuito e reinterpretato un atteggiamento morale del poeta fiorentino. Ma non vorrei essere frainteso: non l’ho conosciuto a livello umano a tal punto da essermi fatto un’idea sulla sua persona – a parte l’impossibilità di giudicare qualsiasi essere umano, persino il tuo amico più stretto. Io non ho mai cercato l’uomo Luzi (che avrà avuto i suoi difetti e i suoi limiti; qualcuno mi ha sussurrato certe sue intolleranze o imposizioni, per esempio), io ho sempre cercato solo il poeta. L’uomo è lo strumento e il contesto che permette la nascita della poesia; il poeta è la figura generata dalla poesia stessa. Magari un uomo antipatico e cinico può scrivere una poesia meravigliosa e piena di sensibilità. Perché dovrei “rovinare” l’opera e il poeta proiettando le mie simpatie o antipatie umane sull’opera? Sarebbe come sprecare un dono. Eppure la storia della letteratura è potentemente disegnata anche da solidarietà, alleanze, affinità sotterranee che lievitano nel giudizio dell’opera e lo falsificano sottilmente. Ritengo invece che sia necessaria questa capacità di discernere l’uomo e il poeta. È un valore etico prima che estetico. Al critico serve per meglio valutare e pungolare l’evoluzione letteraria (se si riconosce al critico una qualche funzione maieutica), al poeta serve per innescare un combattimento interiore fra l’uomo e il poeta. Io, per esempio, ho assunto un altro nome per “liberare” in me il poeta. Come uomo, mi lascio guidare da questa figura, cerco di stargli al passo, di esserne degno. Scrivo per creare la mia profezia, sperando che la parola mi trascini e mi permetta, almeno in parte, di realizzarla.
Andrea ti ringrazio del tempo che hai voluto concedermi.
[ Guarda il testo originale sul sito patrialetteratura.com ]
Bella intervista.
Da cavernicolo, il motivo per cui si legge Pasolini e Montale e non Luzi, ( alle superiori poi )è perchè secondo me, il tempo ci porta sulle nostre tavole e davanti ai nostri occhi solo ciò che riesce a sfondare il dualismo bello/brutto, solo ciò che diventa indifferente al resistente e al cedevole: il tempo fa un’immensa media, impietosa. Le opere d’arte che possiamo vedere e o leggere sono fisiologicamente quelle che al momento sono le più adatte… Una sorta di evoluzionismo darwiniano, che dici. Gli uomini non hanno praticamente peso in questo, per il semplice fatto che il tempo è più vasto e ci contiene, ci eccede a un tale livello che è più salutare non pensarci troppo…solo il sovrumano ha un qualche peso, e anche questo a ben vedere è praticamente ridicolo ma lasciamo stare…. Trovo sia bello assistere in diretta a questo tuo lavoro da intellettuale o letterato ( non so ) che si impegna nel far conoscere, tra le varie cose, un altro poeta, conoscendolo meglio esso stesso immagino…trovo che ci sia anche un insegnamento etico, l’antica ma sempre nuova acquisizione del lavoro serio, fatto per passione e intima necessità personale, che di questi tempi di iper-TV e social e quiz e gare musicali e parole-concetto come femminicidio, si rischia sempre più di perdere…è davvero difficile essere liberati dalla vanità, discernere un atto di vanità da un atto di coraggio, sempre che siano divisi e io credo che in un qualche punto debbano necessariamente esserlo…visto da qui a me sembri coraggioso, la tua esposizione mi pare lo sia…Questo tuo lavoro su Luzi, che purtroppo non posso valutare, ( difficile!, il suo senso mi sfugge, mi perdo, per lo più un verso vale un altro, chiedo scusa) mi fa provare contentezza anche per il poeta fiorentino, morto ormai da quanto, dieci anni? Qualcuno sta parlando di lui, della sua opera, siamo già nell’immortalità che deve pur iniziare in un qualche punto, e tu lo stai già facendo viaggiare nel Tempo; grazie a te la sua poesia, e il tuo lavoro con essa, sta entrando a far parte di quel lavorio incessante, piccolo, domestico, silenzioso, puntuale, che il tempo comincia a trascinare con sè, e piano piano lo trasforma, lo metabolizza, come fa il mare, diciamo, che chissà da dove prende una montagna e la trasporta dall’altra parte dell’emisfero sotto forma di sabbia. Così è il suo contrario. Ecco, ho detto la cazzata del giorno. Luzi però al momento lo abbandono. Ci ho provato. Montale rimane tra i miei preferiti, perché il senso delle sue poesie non mi sfugge ( quasi) mai. Così come quelle lette fino ad ora di De Angelis, autore del quale sono venuto a conoscenza attraverso questo sito.