La preghiera della letteratura
(L’opera scelta come copertina è di Alessandra Cimatoribus.
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Sbarazziamoci subito di un paio di possibili equivoci, intorno allo studio di Andrea Caterini dal titolo La preghiera della letteratura. Sulla misericordia, il bene e la fede (Fazi, 2016):
- non è un libro che necessita di un lettore credente. Saremo schematici: si può assumere nei confronti dell’esistenza la postura tragica della rassegnazione per la mancanza di senso della stessa, oppure si può imboccare la via del dramma, che si spalanca quando un fine viene perennemente inquisito sulla base della propria esperienza. Le due opzioni in realtà rappresentano due direzioni di percorrenza della medesima via, due modalità di abitare la stessa soglia. Senza proseguire oltre nello schema, la letteratura è una delle forme privilegiate che esprimono il dialogo della coscienza con il proprio interlocutore ultimo (che sia il nulla o dio);
- non è un libro di critica letteraria che analizzi opere tautologicamente legate al tema, magari pensato appositamente in concomitanza con il giubileo della misericordia, ma un’opera che rientra in una tradizione nobilissima di prosa saggistica di stampo europeo e forse ancor più spiccatamente italiano. Basterà, per capacitarsi di ciò, considerare gli autori trattati, che molto spesso nemmeno sono cristiani (come Virgilio, Shabtai, Calvino e Cechov) e sentire la visione coerente che si intesse pagina dopo pagina, mentre pone al centro la letteratura (e in particolare una sorta di canone europeo, capace però di mettere in relazione sia grandi classici sia autori strategici meno conosciuti) senza prescindere da tutti gli altri contesti culturali, artistici, filosofici e, ovviamente, teologici.
Il discorso di Caterini si snoda così, mettendo In principio, una preghiera, attraverso i capitoli dedicati alla pace, al sacrificio, alla misericordia, al bene, alla santità e alla fede, intesi come fuochi che si avvantaggiano di un’idea sacra della letteratura, esperienza profondamente radicata nell’umano (sacra, lo ribadiamo, anche e forse soprattutto per chi non confina il sacro stesso in nessun aldilà, ovvero sacralizza interamente il reale).
Ecco un passaggio memorabile del libro che dimostra questo tipo di approccio e documenta la concezione della letteratura come forma di conoscenza:
è proprio nel momento in cui il dolore ci pone a una distanza lunare da Dio che siamo costretti a riconoscere la sua realtà. Non si prenda questo esempio come una similitudine intellettualistica. Qui sto cercando di comprendere cosa sia il bene e Lewis non solo ci ha donato un’opera per, insieme a lui, conoscerlo, ma la sua esperienza di uomo: tutta intera la sua vita. Del resto la letteratura, se serve davvero a qualcosa, è per spingerci oltre i limiti del già conosciuto, per insegnarci a dare senso alla nostra nascita e alla nostra esperienza del mondo, il quale nella sua natura intrinseca, ci appare alle volte assurdo e incomprensibile.
Dunque, attraverso la letteratura noi cerchiamo di attribuire un senso alla vita. E mi viene in mente l’affermazione di Jean Guitton, il quale sosteneva che l’unica, vera dimostrazione dell’esistenza di Dio era la preghiera. In questo senso, allora, la letteratura stessa è davvero una forma di preghiera: parola rivolta a Dio o al nulla per far brillare l’esperienza umana in tutta la sua (drammatica) gloria, in tutta la sua insondabile grandezza.
La letteratura è atto di trascendimento, non pratica devozionale; è innesco della riconquista del paradiso perduto («Credo che chi non riesce a immaginare il paradiso rischia di perire di noia per incapacità di immaginare, ogni giorno, la propria vita»); è assunzione di una responsabilità che ci porta al di là del bene e del male, ma in una dimensione di umiltà perfetta. Perciò non serve aver fede per pregare: basta esporsi, aprire il proprio ego a qualsiasi dimensione (storica, creaturale, letteraria) che ci ricorda la nostra natura, incredibilmente spalancata alla possibilità della creazione: «Io credo che la preghiera sia la sola nostra possibilità di imparare per la seconda volta a parlare».
Perciò non serve aver fede per pregare: basta esporsi, aprire il proprio ego a qualsiasi dimensione (storica, creaturale, letteraria) che ci ricorda la nostra natura, incredibilmente spalancata alla possibilità della creazione: «Io credo che la preghiera sia la sola nostra possibilità di imparare per la seconda volta a parlare»
Quanta profonda e smisurata bellezza accolgono e svelano queste parole, grazie
Grazie a te dell’attenzione, Amina