Poeti della giovinezza

(L’opera scelta come copertina è di Micaela Marconi.
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d’estate
nella pineta
vicino al mare
io e mio padre
dicevamo quel poco
dietro tutte le cose
che percorreva
la ruota nel suo girare
di traverso alla canna
seguivo nel mio sangue
l’attenzione delle cose

Filippo Neri

La poesia sta alla giovinezza come l’innamoramento sta all’amore. Essere poeti della giovinezza o addirittura, leopardianamente, poeti della giovinezza mancata, è possibile soltanto da adulti (per quanto giovinezza e maturità siano soglie mentali, più che anagrafiche).

Per troppo tempo, sull’esempio di Rimbaud, abbiamo creduto al poeta adolescente. Ma Rimbaud era un’eccezione, la regola è quella indicata da Eliot: bisogna dimostrare di essere poeti oltre i venticinque anni. Ovvero: dopo aver trovato il nostro posto nel mondo, dopo aver superato le disillusioni della maturità. Come a dire: prima, tutti siamo un po’ poeti. Ma si è poeti veramente solo quando non si ha più scelta: un giovane, invece (anche se non lo sa) è ancora protagonista delle sue infinite rinascite.

In ogni caso, ogni volta che si apre il libro di un autore poco più che ventenne, come Il rito delle labbra di Filippo Neri (che è nato nel 1980 e vive a Figline Valdarno; il volume è accolto nelle edizioni Interlinea di Novara), non si può negare l’imbarazzo che si prova. Come se uno ritrovasse una propria lettera d’amore di tanti anni fa: leggendola, non saprebbe se ridere, per l’ingenuità di quelle parole, o commuoversi, per la genuinità delle passioni.

Oggi, poi, c’è persino da chiedersi se non sia controproducente ritrovarsi pubblicati così presto: ci si accorgerà in seguito quanto ci si è esposti. I tatuaggi fanno male quando ci ricordano l’amore che doveva essere eterno, e non è stato – ci avvisa anche una canzonetta dalla radio.

Eppure, anche questo imbarazzo è produttivo. Perché non prenderlo di petto, dunque, un po’ come fa Alda Merini nel suo omaggio poetico in apertura del volume? «Come sei bello / tu che gemi / tra le foglie di un prato / […] Come sei presuntuoso / tu che hai capito / che il bene della vita / è dentro il nostro pensiero». Sono parole, a loro modo, d’amore, di cui ridere e commuoversi. Come per tutti i versi di Filippo Neri, senza sbavature, un po’ trepidanti e fragili nella loro posa ungarettiana, nella loro sospensione sintattica di attimi imbevuti di cielo, ma già tesi saggiamente a una devota «attenzione delle cose».

Sorridiamo e commuoviamoci, allora, per questo dono precoce, bello e presuntuoso come ogni giovinezza.

(da Mosse per la guerra dei talenti, 2007)

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