La donna di Paperino
(L’opera scelta come copertina è di Francesca Pompei.
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Questo è un racconto di Riccardo Sappa, apparso sul secondo numero di Atelier
Paperino si chiama Davide, ma questa è soltanto una vanità anagrafica, oltre che un dolcissimo diritto dei suoi genitori. Per noi, invece, sono sacri i battesimi dei giochi d’infanzia e non c’è verso di esiliarli in qualche soffitta della memoria (tranne quando si è in pubblico e un suo sguardo ci allerta sul divieto di metterlo in imbarazzo maneggiando quell’appellativo).
Paperino (Pape, se si sta discorrendo in fretta) da piccolo imitava alla perfezione la voce del cartone animato. E ancora qualche mese fa, trovandoci con alcune ragazze appena conosciute, gli chiedevamo con ruffiana prudenza di esibirsi in quella sua antica specialità: se le ragazze gli vanno e se è carico al punto giusto, lui non rifiuta. Abbiamo quasi trent’anni, adesso. E comunque c’è dell’altro: ad esempio, cantiamo a squarciagola in macchina, ci dimentichiamo le barzellette mentre le stiamo raccontando e facciamo ancora la pipì contro i muri premettendo la rituale formula «chinonpisciaincompagnia…».
L’ultimo dei nostri inconsapevoli giocattoli consiste nell’immaginare un’azienda tutta nostra. Tra l’altro, adesso che ci penso, non abbiamo mai accennato una sola volta ad un prodotto già esistente in commercio: per noi un tale genere di ipotesi può reggersi solamente su una invenzione, cioè su qualcosa di veramente e follemente originale. E questo nesso di casualità è imprescindibile, persino in via ipotetica. Da bambini confezionavamo bombe maciullando centinaia di minuscoli petardi e aggiungendo strane miscele di trucioli, benzina e superalcolici trafugati in famiglia: trascorrevamo intere giornate delle nostre vacanze scolastiche in quei delicatissimi preparativi, ascoltando gli altri bambini che si divertivano con quella miseria di scoppiettini in grado soltanto di far scappare le compagne di classe. Le nostre bombe, invece, solitamente non esplodevano perché qualcosa non funzionava come previsto. Tuttavia continuavamo a crederci fino all’ultima scintilla.
Ora è lo stesso: progettiamo bombe commerciali, mentre i nostri coetanei si accontentano di cinque giornate lavorative, di un’«autoqualunquebastachesiaturbo » e di una «fidanzata/mogliettina» che – e si vede lontano un chilometro – sta con loro perché sono stati i primi (o gli ultimi, ma è lo stesso), con cui é riuscita ad avere un orgasmo; su questo, però, non giuro. Petardini, insomma! Già, la bomba delle bombe, la bomba atomica dell’animo! A dire il vero non confessiamo apertamente che noi sogniamo l’amore. Non ci crediamo, ma lo sogniamo e, quindi, ci crediamo ancor più profondamente, nell’unico modo in cui è possibile credere. Ci rendiamo conto che questo problema andrebbe affrontato, ma ci asteniamo, direi. Ci avvaliamo della facoltà di non rispondere, direi meglio. La nostra astensione, comunque, non si traduce mai in una omissione: infatti finiamo per ruotare intorno all’argomento su orbite sempre più strette e a volte schizziamo via lontano affermando che non ce ne frega niente: questa è la migliore prova di quanto ci stia a cuore l’argomento. Noi, che dall’infanzia ad oggi forse abbiamo imparato una sola cosa e l’abbiamo imparata bene, cioè quella di guardarci dritto negli occhi, sappiamo che è vero.
Dicevo della nostra azienda, del nostro nuovo e appassionante giocattolo. Si è coccolata per un po’ qualche idea strampalata, come quella di un libro di sasso su cui scolpire frasi destinate all’eternità (abbiamo pensato ai regali di matrimonio o alle dediche sanvalentiniane) o quella dell’importazione di caffè, prodotto in aziende del Terzo Mondo, per alberghi a cinque stelle.
Giancarlo, il terzo della compagnia, qualcosa ha già progettato: un arnese per affettare comodamente le angurie. L’idea, che poi arriva anch’essa da Paperino, è stata realizzata con molta cura, com’è solito di Gianca. E non più di un’ora fa lo stesso Pape mi parlava di una bicicletta con trazione mediata da un torchio idraulico. Mi sembra inutile precisare che mi sono dovuto far spiegare che cosa fosse questo torchio idraulico e che non ho alcuna voglia di rificcarmi nel ricordo delle luminose descrizioni che ho ottenuto. Accenno solamente che la novità del meccanismo, dice Pape, dovrebbe consentire di moltiplicare la forza esercitata con una spinta del piede, riducendo così la fatica e permettendo velocità mai conosciute dai mezzi a pedali. Così mi è impossibile resistere alla tentazione di immaginare il volto fradicio di sudore di Moser mentre fallisce l’ennesimo tentativo di fissare un nuovo record dell’ora accanto al ghigno angelicamente astuto e diabolicamente fresco di Paperino che in un’ora percorre più di settanta chilometri. Comunque, sia io, che non ho ancora inventato niente, che Giancarlo, il quale ha realizzato con impareggiabile compiutezza professionale un’idea balorda altrui, non possediamo la potenza inventiva di Paperino. Sarà perché ci siamo rassegnati a laurearci, seppur per vie diverse, e quindi abbiamo accettato il compromesso di trasformarci, nostro malgrado, in un qualcosa che si sta catalizzando ormai nei nostri progetti futuri, sarà perché, invece, Paperino ha trovato un destino più disordinato e meno gratificante agli occhi del mondo ed ora lavora in una fabbrica qualunque, seppur possieda una fantasia incredibile: incredibile davvero, perché non si affranca dal mondo per volare dichiaratamente nell’irreale, come può essere per un qualsiasi istinto artistico, ma si divincola dentro il mondo, dentro gli elementi, tentando ingegnosamente di combinarsi con la materia, di fregarla, di turlupinarla e di ridurla in volontaria schiavitù.
Nel suo laboratorio di odontotecnico – professione che Pape non ha mai disperato di poter riacciuffare – tra i vasellami pseudo-orientali e le sculture vagamente antropomorfe che suo padre gli affida per alcuni restauri, è germogliata l’invenzione delle invenzioni: nulla di commerciale, questa volta, ma di valore infinitamente più pregiato, l’invenzione delle invenzioni, il sogno più ambizioso e folle che un uomo possa mai desiderare di realizzare.
Premetto che a questa affermazione si potrebbe obiettare che qualche genio del passato e del futuro ha certamente tentato e tenterà, anche inconsciamente, di creare addirittura il Creatore, Dio, l’Esseresupremo, ma sono portato a respingere un tale appunto sulla base della convinzione che il progetto di Pape supera in grandezza anche quella spaventosa ambizione, perché si lascia alle spalle il problema del Creatore per passare direttamente al Creante, cioè all’essere in grado di creare l’altro essere colto nell’attimo stesso dell’azione creatrice. Non nascondo che tutti questi pensieri confusi suscitano sensazioni strane e che il timore della bestemmia reclama a gran voce di tacere, ma riconosco troppo bene il nostro sentimento religioso per potermi permettere di retrocedere di fronte al presente ontologicamente determinato, sia pure tanto spaventosamente affascinante o tanto goffamente ridicolo, forse, fuori dalle frequenze emotive. Anzi, anche in questi pensieri, anche nell’indicibile iniziativa di Paperino potrei intravedere semplicemente e paradossalmente la ricerca di Dio, la sua ricerca attraverso la prova materiale dei limiti umani. Del resto Paperino non si è creato da solo!
Una donna, insomma, Davide si sta costruendo una donna! Ecco, ce l’ho fatta a dirlo. E l’ho chiamato Davide, quasi facessi una dichiarazione ufficiale e non una confessione privata. Una donna, Paperino sta costruendo una donna, una donna vera!
Per ora sta componendo ancora lo scheletro, ma ha già effettuato alcuni esperimenti sulla muscolatura e sull’epidermide con cui rivestirla. Un giorno le ha persino infilato una scarpa con tacco a spillo (l’ha fregata a sua sorella, ha detto) e ci ha dato un saggio dell’eleganza dei movimenti degli arti inferiori.
A queste sue periodiche e riservate dimostrazioni sull’avanzamento dell’opera noi assistiamo con ammirazione; non gli lesiniamo un complimento e gli rivolgiamo molte domande sulle difficoltà che ha dovuto superare nella realizzazione delle articolazioni più complesse, ad esempio, oppure degli indescrivibili meccanismi che rendono elastici i movimenti.
In queste visite noi per lui rappresentiamo una sorta di commissione di vigilanza a cui sottoporre l’esito del suo lavoro, la cui stranezza non gli sfugge certamente. E il nostro involontario giudizio, il nostro allegro stupore costituiscono un inequivocabile incoraggiamento. Se poi, terminato l’esame, ci beviamo qualcosa insieme e ci concediamo una battuta volgare sulle possibili posizioni erotiche di quella, sull’altezza dei glutei se sta in ginocchio, sulla forma che darà al seno o ad altro, è soltanto perché avvertiamo la necessità di liberarci da quello stupore opprimente.
Non siamo i primi a credere che il modo migliore per nascondersi dai fenomeni più grandi dell’uomo sia quello di dissacrali. Non siamo i primi a volercene dimenticare, ogni tanto, per la salute dello spirito. Pur nell’incertezza che necessariamente governa la realizzazione di una simile impresa, Paperino non ha iniziato a casaccio. Sempre è stato appassionato di anatomia e, stando alle sue affermazioni ma ancor di più alla sua passione nel sostenerle, in questa materia alle Scuole Superiori era davvero bravo. Ebbene, prima di decidersi a generare la sua donna, Pape si è documentato con scrupolo. Ci sono ancora un paio di manuali sul tavolo del laboratorio e anche una raccolta di bozzetti di Raffaello, se non sbaglio. Comunque, dopo un primo periodo di studio, è passato alla realizzazione delle parti ossee del piede sinistro: tarso, metatarso, tallone, falangi varie e una serie di altri segmenti di cui mi ha descritto minuziosamente la funzione. Pertanto la sua donna è nata dal piede sinistro.
Perché proprio il piede? Forse per non allontanarsi troppo dalla realtà e farla germogliare come un vegetale, incominciando dalla parte più vicina alla terra? O perché i piedi sono membra essenziali per gli spostamenti umani e la sua donna nasceva come qualcuno che avrebbe dovuto essere in grado di muoversi nel mondo, nel suo mondo privato? Non so se anche la sua fretta nel calzare a quel piede la scarpa di sua sorella è un comportamento interessante. Forse i piedi, o meglio i piedi che calzano scarpe con tacchi a spillo, esercitano su Paperino un richiamo sessuale prioritario; è una piccola perversione molto diffusa (forse ne sono affetto anch’io) e, se anche fosse così, questo atteggiamento si risolve in un piccolo atto di innocenza che rivela senza ipocrisie una delle funzioni finali di quella creatura, cioè il rapporto sessuale. Del resto nessun uomo – bisogna ammetterlo – sprecherebbe un tale patrimonio di risorse per procurarsi una donna delle pulizie o, tutt’al più, una segretaria.
Comunque, dopo un primo approfondimento, gli studi di Pape sul corpo umano sono proseguiti parallelamente alla realizzazione di altre parti ossee: il piede destro, tibie e peroni, la complessa architettura del ginocchio, più volte ricostruita da capo per ottenere il movimento e l’elasticità corrette, i femori e un meraviglioso bacino, non troppo largo – spiega – perché vuole non una donna con un sedere grande, ma rotondo e sodo, proporzionato alla snellezza di tutto il corpo. E la cassa toracica, che ha ultimato da poco, è un vero capolavoro nel capolavoro.
Il tutto è di legno, acciaio e plastica: legno come Pinocchio, metallo come un robot, plastica come i due terzi dell’orbe terracqueo. I legamenti sono mirabili congegni di viti e filo di ferro, le ossa lunghe sono rami di nocciolo accuratamente levigati, il bacino e la cassa toracica derivano da alcuni secchi di plastica dura, prescelti a causa della naturale curvatura concava e consolidati con rinforzi metallici. Per la muscolatura e la pelle, invece, la plastica prenderà il sopravvento: gommapiuma, silicone e una speciale membrana rosea, dotata di grande somiglianza con l’epidermide umana, come rivestimento finale.
Le braccia dovrebbero andare in cantiere a breve scadenza, anche se stranamente Pape non ne ha mai fatto cenno, mentre sulla testa io e Giancarlo siamo d’opinione opposta. Io sostengo che non arriverà mai a farla e, comunque, mai ad ultimarla, poiché il volto rappresenta il confine estremo tra il gioco e la pazzia, tra l’arte e il sacrilegio; d’altra parte non si sta costruendo un manichino e neppure un automa di gradevole aspetto: si sta creando un essere umano, anzi, una donna, l’essere umano che, nell’immaginario maschile, più si avvicina a Dio.
Il volto, il sorriso, il pianto e, sopra ogni cosa, lo sguardo, le infinite policromie di uno sguardo femminile sono attributi indubbiamente più divini che umani, seppur per qualche mistero di natura mescolati alla materia. E credo che Pape non voglia sfidare nessun altro tranne la logica comune e la sua particolare e bizzarra intelligenza. Tuttavia Giancarlo crede che anche questo ostacolo sarà superato. Staremo a vedere, anche se per ora ci limitiamo entrambi ad assistere alla crescita della donna senza lasciarci distrarre da inutili pronostici.
Una volta al mese, più e meno, la commissione si reca “casualmente” in visita al laboratorio. Il candidato si infervora nella descrizione del lavoro eseguito, degli ostacoli superati, delle modifiche apportate a quanto avevamo visionato in precedenza; poi passa alla spiegazione delle parti in fase di realizzazione e – inutile nasconderlo – sia lui che noi, per alcuni istanti, la immaginiamo già finita, questa donna in formazione.
Parlerebbe? Ci chiederebbe chi siamo? Si muoverebbe per la casa, si accomoderebbe con elegante sensualità sul divano-letto? Ci rendiamo conto di fantasticare, ma lì nel laboratorio di Paperino, a quasi trent’anni d’età e con problemi solidi come macigni appena fuori dalla porta, domande come queste ci passano nello sguardo riconoscendosi nei reciproci silenzi: domande stupide, domande da bambini che appena un quarto d’ora fa parlavano di altre donne, incontrate per strada, corteggiate, portate a letto o ancora da portare, donne costruite da altri. Sicuramente.
Gli ho anche raccontato il mito di Pigmalione e Paperino ne è rimasto affascinato, quasi trovasse consolazione nel sapere che un altro prima di lui ha già tentato, riuscendovi, quella pazzia. E neppure l’ordinario finale della vicenda, il comunissimo destino matrimoniale con Galatea, trasformata in essere vivente dagli dei, è servito a ridurre il sollievo di sapersi preceduto da altri; gli onori della dignità mitologica sono riusciti a provocare in lui una sorta di elevazione della sua stessa opera, di suprema e millenaria gratificazione.
Invece non si è mai parlato del cuore, il cuore altrui, l’unico luogo dove veramente si può percepire e quindi perpetuare quella finzione che definiamo “cuore”. Di queste tematiche “elevate”, per così dire, ogni tanto si parla lì nel laboratorio così come si parla di tutto ciò che è suggerito per rimanere allo stadio di semplice domanda senza risposta, di domanda interdetta alle risposte.
Questo non significa che ci consideriamo fatalisti, tutt’altro. Le risposte continuiamo a cercarle, pur nella profonda coscienza della loro irraggiungibilità. È per questo, forse, che andiamo fieri della nostra amicizia e della nostra balordaggine “dolosa”, perché avvertiamo la necessità di riassaggiare, di tanto in tanto, il rito della nostra diversità dagli esseri comuni: mentre gli altri alle feste di Capodanno si divertivano aprendo bottiglie di spumante e facendosi gli auguri, noi dovevamo difenderci dalla malinconia organizzando proprio quelle feste.
Intanto lei cresce. Tra un fine settimana e l’altro il suo corpo si allunga, si perfeziona. Ritorna a giacere sul banco del laboratorio e, attendendo che Pape torni a occuparsi della sua formazione, assorbe i suoni che visitano la sua prima abitazione di essere umano. Ascolta le vibrazioni esterne e le traduce nel linguaggio che già conoscono gli elementi che compongono i suoi primi tessuti: gli ultrasuoni del metallo, i gorgoglii abissali del petrolio, i fruscii del bosco nella memoria del legno, la follia muta della neve. Forse, quando sarà completamente nata, riconoscerà il timbro delle nostre voci, udite durante questa sua gestazione.
Forse non potrà mai riconoscere in Pape un amante, perché ne avrà bisogno come di un padre. E lui dovrà destreggiarsi sull’orlo di questi due ruoli e scegliere, probabilmente, scegliere quello migliore per non farle e farsi del male.
Della donna di Pape ho parlato con un’amica psicologa, al fine di ottenere ulteriori indicazioni sulla pista da seguire nella mia analisi della situazione e delle reazioni che produce all’interno del nostro gruppetto di amici. A noi tre, infatti, si aggiunge Marco, che si è sposato e, pertanto, esercita svariate e legittime assenze, insieme ad un ristretto numero di conoscenti con i quali ora l’uno, ora l’altro di noi si trova in discreta e passeggera confidenza.
L’amica, serenamente ferrata nelle misteriose anomalie dell’imperscrutabile mistero umano, ha pronunciato il vocabolo “feticismo”. Questa senza dubbio è una sentenza di condanna, per la sanzione, però, si è dimostrata magnanima rimettendosi all’intuito del sottoscritto, cioè di uno dei colpevoli. Tuttavia, siccome so di dovermi tenere allenato alla colpevolezza e di doverla amalgamare con l’istinto di sopravvivenza, ho tentato un’accorata difesa di Davide (nome di battesimo obbligatorio in udienza), tradendo così quella generosa fiducia nel mio buon senso.
«Feticismo? Ma bene! E allora, cara la mia strizzacervelli, dimmi un po’ chi non è feticista in questo mondo? Escludiamo a priori i grandi delle arti figurative, tralasciamo pure Fidia e Michelangelo, censuriamo la Monna Lisa, anzi spranghiamo pure le porte del Louvre! Ed ora, eliminati in un sol colpo gli artisti d’ogni epoca, passiamo agli altri miliardi di esseri umani: per questi c’è un minimo comun denominatore di grande comodità. Quale? Il mito di Pigmalione, ovviamente.
Lì ci stiamo dentro tutti, i miei avi e i suoi, Davide e la sua Galatea, Giancarlo che progetta palazzi non certo per la gloria dei mattoni, io che scrivo poesie a donne diverse da quelle a cui le invio. E quelli dei petardini? Quelli della “mogliettinacaramettitilegiarrettiere”? Quelli della nuova automobile turbo più lucida del loro cervello? Quelli che si torturano ore e ore al sole per sentirsi più belli? Sono tutti feticisti oppure io non ho capito niente del feticismo!» Non ho capito niente io, ovviamente, ma questo non l’ho ammesso davanti alla psicologa. Lei si riferiva al superamento di una certa soglia di feticismo “fisiologico”, credo, e uno che sta creando una donna nel suo laboratorio si trova ben oltre, mentre una commissione faziosa per natura che avalla tale comportamento si trova anch’essa al di là delle consuetudini di un rapporto d’amicizia, intesa come tendenza alla comunione dei sentimenti negli eventi. Infatti, si trova precisamente nella comunione dei sentimenti. Proprio lì.
E lei intanto cresce, lei tace e cresce nel laboratorio di Pape. Non parla. Forse non parlerà mai.
Tempo fa sono capitato in una bufera di solitudine e ho tentato banalmente di aggrapparmi a una qualche figura femminile del mio passato. A differenza di altre volte, però, ho cercato delle parole, il ricordo di una frase rivoltami da una donna. Ebbene, non ho trovato un fico secco, niente di niente, nemmeno un monosillabo che mi si fosse depositato dentro. Sono d’accordo che in certi momenti torbidi non si può pretendere di trovare al primo colpo dentro se stessi ciò che si sta cercando. E posso pure credere di non averle mai ascoltate veramente, queste donne, cioè che sia stato io sordo e non loro mute, come sembrerebbe.
Ma preferisco adottare la precauzione di conservare una riserva in proposito. E poi la bufera mi ha ridotto abbastanza male da permettermi il lusso di prendermela con qualcuno, porca miseria! Ecco, forse anche lei non dirà mai nulla ad un uomo.
Un giorno Paperino si sposerà con una bella sposa, impastata con i suoi sentimenti, una sposa in carne e ossa. L’avrà incontrata una sera al lago d’Orta o forse gliel’avrà fatta conoscere qualcuno di noi, forse io, forse un altro che il giorno prima avrebbe voluto ammazzare, tanto gli stava antipatico. Si recheranno insieme al matrimonio di qualche amico e faranno finta di non essere per nulla in procinto di sposarsi. Poi, quando saranno stanchi di fingere, lo faranno anche loro come tutti, come i nostri genitori, come i nostri figli, come quelli dei petardini e di Capodanno. E un giorno uno dei figli di Paperino proporrà ai nostri figli di non accontentarsi, di costruire una grande bomba o, che so io, un grande computer, un grande missile, ma di nascosto, però, «perché se mio padre lo viene a sapere me le suona!».
E noi lo verremo a sapere, Paperino compreso, e gliele suoneremo davvero, a quei disgraziati.
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