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Sui premi letterari

Prima o poi, magari, racconterò due o tre aneddoti che mi riguardano sui premi letterari. Intanto, però, sull’argomento ho già messo a confronto due personaggi di Tutte le voci di questo aldilà. La scena si svolge nella parte quarta del romanzo, in occasione del grande convegno organizzato per indurre Davide alla pubblicazione del suo capolavoro, ma che produrrà la manifestazione e l’intreccio di varie storie d’amore.

Le varie amenità di cui si discusse in sala furono, ovviamente, le più disparate. Mario Bètuda e Emilio Buarotti si scoprirono di vedute opposte, per esempio, anche in merito ai premi letterari.

«Mi hanno detto che hai vinto il Viareggio, con il tuo libro. Complimenti», ruppe un momento di silenzio al suo tavolo il Buarotti, rivolgendosi al poeta.

«Grazie. Ma non sono andato a ritirarlo.»

«Contrattempi?»

«No. Non credo nei premi letterari.»

«A me non sembra che siano materia di fede.»

Bètuda cominciò a dardeggiare le sue iridi verso quello che egli avrebbe definito essenzialmente un prosivendolo. «Per me sono dannosi», asserì con voce arrangolata.

«Da quando in qua i quattrini squalificano qualche scrittore?», improvvisò di rimando l’altro.

La serie di allitterazioni irritò il poeta. Lo stava forse irridendo? Perciò sbottò: «Hai presente quello che dice Pascoli in merito alla “gloriola” del poeta? Dice che è indegna e amara. E si lamentava, già alla sua epoca, figurati, di vivere nel tempo delle classifiche. La gente ti ascolta, ti applaude, ti grida: Caspita, bravo! Non c’è male! Eccellente! Non sei però ancora al livello del Tale, ma meglio del Tal Altro: Primo! Secondo! Terzo! Poeta maggiore! Poeta minore! E in questo modo ci lasciamo distrarre dalla vanità e perdiamo tempo ed energie, peggio: diventiamo attori ingombranti sul palcoscenico del mondo, e pretendiamo di scriverci su il nostro nome a ogni angolo.»

«A me il mondo piace», rintuzzò Buarotti, «e mi piace anche seminare il mio nome in giro. Fin da piccolo, intagliavo il nome sul banco per protestare la mia esistenza, perché non volevo stare lì ma in cortile, a correre all’aperto. No, scusa, non volevo indispettirti, era così per dire. Io però la penso diversamente. Quando un paio… no, tre anni fa vinsi il Premio “Emilio Villa” per il mio romanzo Profeti in patria, ne fui felice. E ti confesserò, né mi vergogno a dirlo: di soldi ne avevo pure bisogno. Sono troppo pochi quelli che possono permettersi di campare scrivendo libri, sai? Sì, sì, certo, con la poesia, il discorso non si pone nemmeno. Però, ecco, secondo me, più giurati e premi ci sono in giro, e meglio è. Non fanno male a nessuno, in fin dei conti. Basta non montarsi la testa, se ti capita di ottenere qualche soddisfazione mondana. No?»

Poi aggiunse, rivolgendosi a tutto il tavolo, con tono bonario e conciliante, e insieme furbetto: «Se qualcuno di voi, un giorno, capitasse in qualche giuria, si ricordi di me. O se venite a sapere di qualche concorso abbastanza serio, avvisatemi. Conoscete il mio repertorio». E ci bevve su.

 

3 commenti
  1. Salvatore
    Salvatore dice:

    Nell’insofferente attesa degli aneddoti promessi – perché ormai l’hai promesso e le promesse si mantengono – comincio col dirti che questo pezzo mi garba moltissimo. Sarò costretto a comprarlo questo tuo romanzo. Era scontato fin dall’inizio in fondo. Praticamente una profezia…

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    • Andrea Temporelli
      Andrea Temporelli dice:

      Sappi però, Salvatore, che questo mio romanzo non ha vinto alcun premio… Il mio editore voleva proporlo a una giuria, ma ci ha rinunciato quando poi ha saputo che un suo “amico” della giuria, a priori, avrebbe fatto di tutto per NON premiarlo… Ops, ho cominciato a mantenere la promessa.

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