Don't speak, di Erica Dal Maso, acquarello, cm 45x30

L’arte di addomesticare farfalle

(L’opera scelta come copertina è di Erica Dal Maso.
Cliccare sull’immagine per la visualizzazione completa)

Avrò presto il piacere di rivedere Andrea Ponso. Così vado a riprendermi le sue poesie, per rileggerle. Mi imbatto anche in questo vecchio articolo…

“Un ago che lavora sottile, senza l’asilo di altre scritture,
nel vuoto del foglio è costretto a sparire: l’ego riempie
l’alveo, segue la traccia e la vena… parlare davvero,
diceva, è come addomesticare farfalle…………………”

Andrea Ponso

Se è vero che la poesia dei più giovani segue tracciati invisibili nell’intricato mondo dell’editoria “minore” (ma che, per fortuna, qualche volta pensa più in grande di quella maggiore), è altrettanto vero che nomi già certi si possono fare eccome, senza che il critico debba provare i brividi della scommessa. Autori come Elisa Biagini, Flavio Santi e Andrea Ponso (tanto per cominciare) sono realtà acquisite: al lettore, se vuole, il piacere di aggiornarsi per avere il privilegio di seguire questi poeti nel corso degli anni, di crescere con loro.
Andrea Ponso (nato a Noventa Vicentina nel 1975) ha appena pubblicato La casa, nella collana curata da Maurizio Cucchi per Stampa. E con questo libro d’esordio (dopo importanti uscite in rivista e in antologie) c’insegna subito qualcosa di importante: la leggerezza pensosa del verso. Parlare, afferma, è come addomesticare farfalle. Il poeta, nel gesto di scrivere, consuma la vanità dell’arte e fa sì che il suo ego si trasformi in un ago, che la sua traccia sulla pagina diventi soltanto voce. Ma serve una disponibilità completa a sottomettersi al lavorio del tempo per farsi pietra pomice, leggera e porosa, e le poesie di Ponso conoscono il segreto di questa gioiosa disciplina, fatta di solitudine vera, che poco ha in comune con l’angoscia claustrofobica del letterato («senza l’asilo di altre scritture»). I suoi versi nascono da una concentrazione assoluta, che si manifesta con la semplicità di un gesto naturale, come quello di stringere le mani per raccogliere l’acqua. Ecco, le virgolette che chiudono quasi tutte le sequenze poetiche del libro sono il segno di tale raccoglimento: la poesia è acqua, specchio cangiante, elemento che ha durezza e che, insieme, fluisce inarrestabile, penetra ogni fessura e fugge, con una potenza impensabile se necessario, di forma in forma.
Non inganni il titolo della raccolta: la casa di Ponso non ha nulla di statico, è fatta «di basilico e frasche, le stagioni / cambiano i muri»: egli abita il mondo nella profondità delle sue fibre molli, la sua descrizione di eventi e luoghi non è registrazione passiva, ma partecipazione alla grammatica del tempo, evento sempre presente. Perciò il poeta chiede al lettore la medesima disciplina, perché non cerchi specchi consolanti, ma partecipi al fuoco della conoscenza poetica: «anche chi guarda è assente: è un suono, / una supposizione ardente».

 

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