Stare nello sguardo dei figli
(L’opera scelta come copertina è di Vanessa Maria Mineo.
Cliccare sull’immagine per la visualizzazione completa)
i bambini che ci guardano
vedono torri e non corvi,
giganti sulla curva del mondo,
piedi saldi.
Non si accorgono
che scivoliamo, fascio d’ombre lungo le pareti,
disorientati abbozzando direzioni,
ci danno la mano e noi barcolliamo.
Un limite in discesa,
ferme le biciclette,
gli sarà traditore ma leale,
gli caverà l’inganno
che più in là
sia compimento
mentre ogni audacia a maturare
alimenta il suo danno.
Roberta Bertozzi
Per uno scrittore il rapporto con l’adolescenza è ambivalente. Da una parte, è opportuno riesca a salvaguardare la spinta originaria della passione e tenere così desti il desiderio e la paura di trovare, sulla pagina, il proprio volto. L’adolescente inizia a scrivere affrontando il buio, sperimentando potenzialità umane latenti nel suo carattere in formazione. Scrive pregando disperato, tendendosi all’infinito fino allo spasimo, esposto all’orrore sacro delle ombre con cui si confronta. In seguito, invece, se la fortuna e il talento avranno sbocco, dovrà fare i conti con il mestiere che avanza, con un rapporto più confidenziale con la scrittura e con la società dei letterati di cui si sente parte. Per questo, appunto, dovrà vegliare su se stesso, per non introiettare le ipocrisie di un mondo di cartapesta e resistere ai patteggiamenti con gli infingimenti che invitano a una quiescenza ottusa.
D’altra parte, senza smettere di sentirsi in evoluzione e di confrontarsi con orizzonti vasti, uno scrittore deve entrare nella propria maturità, portando il peso delle scelte che è chiamato a compiere. Deve, in altre parole, rompere la bolla di solipsismo in cui un giovane si trova molte volte a trastullarsi con euforia o con sgomento e sentire i contorni esatti della realtà in cui si muove, in piena consapevolezza. Sopportando senza compiacimenti, magari, la solitudine che deriva dalla sua stessa perseveranza verso la rotta primigenia che non ha tradito.
Uno degli eventi che segna la maturità di una persona è la nascita di un figlio. La paternità e la maternità sono potenti chiodi che costringono al legno del mondo: e le ingenuità beote svaniscono colpo su colpo, lasciando il posto, semmai, alla forza immaginativa di un’infanzia riconquistata.
Quanti scrittori di oggi, adolescenti ancora a quaranta o cinquant’anni, si vergognerebbero delle loro opere, se le pensassero nelle mani dei loro figli? Stare nello sguardo dei bambini, sempre sottoposti al giudizio cristallino e famelico delle loro pupille: ecco, di questo monito ci parlano i versi di Roberta Bertozzi, del ’72, che abbiamo estratto dalla raccolta Il rituale della neve (Raffaelli Editore)
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