da Zoff a Pelè, dall'1 al 10

La scala (sgangherata) dei voti

Sta tornando in auge l’idea del giudizio, al posto del voto. Mi sembra una buona occasione per riflettere sul nostro sistema di valutazione. Gli studenti hanno bisogno del riscontro valutativo. Hanno bisogno di conoscere il valore delle loro prove. Ma, ovviamente, spesso confondono la valutazione di un compito con una valutazione complessiva sulla persona.

Così, spesso leggono l’insufficienza come un fallimento esistenziale. Talvolta, questa percezione distorta (di cui sono responsabili anche gli insegnanti, molte volte) diventa per loro de-responsabilizzante, perché fa rientrare dalla finestra un certo fatalismo: “Non è colpa mia se sono fatto così”.

Ciclicamente, quindi, si pensa di abolire le valutazioni, di passare a giudizi o altre opzioni analoghe. Dalla zuppa al pan bagnato.

Intanto, però, riscopriamo un po’ l’acqua calda: fa sempre bene non lasciar scivolare nell’ovvio certe questioni.

Come metro di giudizio, i voti vanno dall’1 al 10. In teoria, almeno. Nella pratica, il ventaglio si restringe e ci si assesta dal 4 (insufficienza grave) al 10 (ma, in alcune materie, soprattutto umanistiche, possiamo considerare il 9 come valutazione più alta). Il 3 viene esibito solo come arma punitiva per un compito non consegnato o lasciato in bianco.

Non basta. Nella nostra figurazione ideale i singoli pioli della scala valutativa sono oggettivi, equidistanti. Eh, bella storia! Provate a spiegare a chi ha preso 5 che il gradino che non ha raggiunto è di pari qualità e fatica di quello che si trova di fronte a chi ha preso 6 o 7… Allo stesso modo, confessiamolo, estorcere un 10 (dieci! la perfezione!) a qualche insegnante è più difficile che ottenere una recensione da Claudio Magris.

Le conseguenze, sul fronte degli insegnanti, sono varie. Tralasciando le varie mitologie intorno ai plurimi segni meno che qualche docente ama far seguire alla “sufficienza” appena elargita (e in quei meno ci sta tutto il dramma della sua coscienza scrupolosa, della sua professionalità combattuta fra la salvaguardia dei baluardi della propria Disciplina e l’affetto per il ragazzo che, per quanto ancora oggettivamente mingherlino, diventerà pur un uomo…), val la pena ricordare almeno una conseguenza matematica di questo sistema valutativo: la media del 10 è effettivamente impossibile da raggiungere. Un 6 è un voto ancora riconducibile a una media dell’8, perché esiste la valutazione (un bel 10, o un paio di 9) che permette di correggere il tiro. Ma con quale altro voto potrei aggiustare un 8 e rientrare nella media del 10?

Cari colleghi, non siate inutilmente pedanti: non aspettate che un ragazzo abbia la media del 9,6 per premiarlo.

(È rimasta celebre, nel calcio, la definizione che Platini – uno dei numeri 10 per antonomasia – diede di Roberto Baggio come di un 9½. Fu un modo brillante per relativizzare il talento altrui. Non siate altrettanto cinici. E considerate: anche se il numero più ambito, quello riservato al fantasista, all’uomo che fa la differenza ed entra nell’immaginario collettivo resta il 10, a calcio si gioca in 11…)

 

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