Scrivere non è diario
E comunque scrivo
come un frate
con la vita spoglia e le ginocchia
come un soldato
con la marcia e il nemico sul petto
come una sirena
sbagliata, rinnega il suo prato.
Scrivere non è diario
non ricordo mai le date
è un’impronta
che mi trattiene.
Paola Turroni
Proporre paragoni altisonanti per presentare un autore giovane, anche quando nasce da un moto di simpatia, è un gesto pericoloso: si rischia il ridicolo e si perpetua la presunta condizione postmoderna che ci vuole sempre epigoni (e dico presunta, perché confido che basterà appena un battito creativo per sfondare tanti paradigmi epocali, che qualche volta sono soltanto fisime occidentali). Ma i raffronti con i presunti modelli letterari rappresentano anche una tentazione critica fatale: si vorrebbe rapidamente cogliere l’origine di una voce, per intenderne la spinta in avanti grazie alla memoria…
Oggi però che i poeti (o i presunti tali) sono legione, i paragoni altisonanti dovrebbero diventare, suppongo, atti dovuti. Dobbiamo, con coraggio, guardarci tutti in faccia, giusto per capire che stendere le genuine paginette di diario e pretendere di fare le anime belle non basta, per sentirsi poeti. A parte il fatto che un poeta non si sente mai tale, nel senso che non si mette in posa, perché saranno semmai gli altri a riconoscerlo, non ha più senso scrivere le nostre cosette candidamente: siamo tutti così bravini, così fotogenici… E intanto abbattiamo le foreste per riempire i maceri di carta stampata che non diventerà mai un libro, se non per la piccola cerchia dei parenti. Chissà, forse non è tanto lontano un futuro in cui ciascuno si confezionerà le proprie pubblicazioni privatamente, con PC e stampante: così almeno gli editori a pagamento saranno costretti a trovarsi un lavoro più onorevole.
Intanto, però, ci resta il piacere di trovare voci cocciute, che nonostante tutto annunciano: «E comunque scrivo». Così, perentoriamente. Voci che si misurano, magari, addirittura con Rimbaud o Artaud, come accade, a detta del prefatore Giancarlo Sissa, per Paola Turroni (classe 1971), autrice del volumetto Il vincolo del volo (Raffaelli Editore). In queste pagine non si tarda a sentire che la tensione alla scrittura è vissuta in modo radicale, nella lotta per trascendere la biografia, ma dentro un’«impronta» sapida di corpo, mai in una figurazione intellettualistica. Scrivere è un’esperienza estrema, da frate soldato o sirena: ci brucia la memoria, ci consegna insignificanti davanti alla nostra opera.
È sempre solo questa ciò che conta, mentre noi passiamo.
(da Mosse per la guerra dei talenti, 2007)
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