Filosofo, fotografia digitale di Sandro Frinolli Puzzilli, 50x70 cm

La nostalgia del tutto

(L’opera scelta come copertina è di Sandro Frinolli Puzzilli.
Cliccare sull’immagine per la visualizzazione completa)

[…]
tu sei quel mondo che dentro di te si accumula con la
materia di questo pianeta cresciuta in me    fino a darmi
la morte incredibile di chi non è ancora vissuto poi
che la superi ora che vivi la morte e non il contrario questo
primo mondo si erode come ogni mondo     e lascia aperta
la cavità del corpo che ora è questo secondo mondo che
si forma    nel corpo qualcosa diventa che fuori
contemporaneamente si libera      cosicché egli sta nel mezzo
di questa libertà      che si evolve trascinandolo a liberarsi
sempre con maggiore coinvolgimento     fino a poter
scambiare questa libertà con un’altra      per lasciar
proseguire quello che succede quando due libertà
si incontrano      proprio adesso
[…]

Jacopo Ricciardi

«Di me […] dirò solo che tentando l’annullamento totale del testo, auspico la nascita di una progressiva identità dell’umano che faccia di noi elementi realmente divisibili, riappropriandoci del tempo. È compito della nuova poesia essere a suo modo ancor più involontaria di una creazione d’arte, eppure anche più naturale, passare dall’imposizione di un’identità poetica – di poesia e del poeta – a un’identità o a un bisogno di identità di se stessi». Così si autopresenta Jacopo Ricciardi in If music be the food of love, play on (Libri Scheiwiller 2003). La sua ricerca si sviluppa in ampie sequenze che hanno l’ardimento di parlare di corpi umani e di corpi galattici, tessendo il rapporto tra la nostra percezione individuale e il respiro cosmico che ci attraversa. E se non basta, ovviamente, scegliersi un tema così impegnativo per fare grande poesia, è pur vero che a furia di rimirare l’ombra del bicchiere sul tavolo, ovvero a esercitare una poesia asfittica (va da sé che non parlo del poeta che attraverso le piccole cose evidenzia l’impalcatura dell’universo), si finisce inevitabilmente per ripiegarsi su se stessi, come si usa dire con il più classico degli stereotipi scolastici. Resta insomma una tensione alla globalità nel poeta, poiché la poesia «utilizza la parola nel suo stato di apparenza, una parola mai completamente definita, che sviluppa il potere di diventare tutto, e per tutto intendo quella cosa che è tutto e non qualsiasi cosa» (sono ancora parole di Ricciardi dall’introduzione al volume).

Poco importa che l’infinito sia sofferto nella sua impossibilità e la visione si strutturi per frammenti: può bastare anche la nostalgia del tutto, la sua ombra, la denuncia della sua impossibilità storica. Ma è sempre attraverso la pietra di paragone dell’universale che scocca la scintilla dell’identità individuale. Soprattutto per questo si scrivono poesie: per interrogarsi sul proprio significato di uomini all’interno del passare della storia e del girare dei pianeti. Solo questo è il nostro piccolo e immenso privilegio.

(da Mosse per la guerra dei talenti, 2007)

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