Scuola: principi del cambiamento (2)

Se il primo principio è la libertà, vuol dire che non si potrà forzare il collega che non ha voglia di mettersi in gioco, nemmeno quando gli si prospetta la collaborazione come un favore.

Eppure la tanto sbandierata libertà d’insegnamento è una chimera. Nemmeno il voto sommativo che l’insegnante annota sulla scheda gli appartiene: lo propone secondo la sua logica, ma sarà il Consiglio di Classe ad approvarlo – e potrebbe anche decidere diversamente.

Fatto sta che finché ogni insegnante si riterrà unico depositario della sua materia (“Nella mia disciplina questa cosa non funziona…”) non si andrà da nessuna parte. Il sapere, infatti, è uno solo. Intelligenza è capacità di integrazione di nuove concetti in un sistema, e di rinnovare o ripensare il sistema nelle fasi critiche. E allora perché taluni si ostinano a considerare l’alunno come una cassettiera? C’è ancora chi pretende di aprire il cassetto che corrisponde alla sua disciplina, per infilarci i suoi contenuti, senza nemmeno chiedersi che cosa dovrebbero contenere gli altri vani. Poveri studenti. Spetta poi a loro stupirci, alla fine del percorso scolastico, con esibizione di tesine che in venti minuti squadernino la suprema visione dell’universo in cui tutto, ma proprio tutto, partecipa al Senso.

Chiusa la porta dopo la nostra lezione, non sappiamo praticamente nulla di ciò che il collega andrà a proporre.

Ma in quest’incrocio c’è la possibile scintilla. Il collega che subentra potrebbe continuare a tessere la stessa figura, o costruirne un’altra in armonia con il percorso avviato da ogni docente.

Non ci sono dubbi, la didattica del futuro sarà frutto di un vero lavoro di squadra dei docenti. L’aspetto sorprendente è che si pensa solitamente al lavoro interdisciplinare come a una complicazione, mentre invece si tratta dell’opposto. Magari il processo da gestire sarà complesso, ma l’obiettivo finale è la semplificazione.

Il secondo principio è l’interdisciplinarità.

 

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