Schiele, Autoritratto, 1911

Profezia privata (prima parte)

In questi giorni di tregua dalla scuola mi sto concedendo un po’ di ozio (attività in famiglia, letture, preparazione di lezioni…).
Colgo l’occasione per ripensare al percorso compiuto quest’anno con il sito e rilancio alcuni vecchi articoli, cui sono particolarmente affezionato. Questo era apparso il 14 dicembre 2015 e rappresenta la prima parte del “manifesto” insito nel progetto di questo sito.

Mentre vaga tra le ombre delle opere compiute e i fantasmi di quelle da scrivere, l’autore viene pungolato dal dilemma intorno alla propria natura e allora si concede, di sbieco e furtivamente, quasi all’insaputa di sé, uno sguardo allo specchio, cercando una volta per tutte di mettersi a fuoco, tra genio e insignificanza.
Questa scena accade sempre. Ma, nell’epoca attuale,la questione moltiplica la propria risonanza in rapporto ai quadri globali che hanno prosciugato le terre, un tempo fertili, del sapere umanistico. Marginalizzata ogni élite intellettuale, svuotata ogni progettualità poetica ai colpi di una politica cieca e asservita all’utile, il Mercato è il tiranno che setaccia, negli oceani di scritture ed esperienze estetiche che si propongono, le presunte opere, non certo nell’intento di rinnovare qualsivoglia tradizione, ma di consumarle sull’altare del presente più effimero.
In quali luoghi, allora, sopravvive la letteratura? Nei luoghi più disparati e imprevisti. Talvolta persino nelle esigue sigle editoriali di prestigio, le rare volte che. Ma, per lo più, c’è da scommettere che la poesia si nasconda in luoghi impensati, negli infiniti meandri della rete, nelle nicchie editoriali, nelle esperienze “local” in cui si consuma una forma strenua di resistenza. In ogni periferia dell’impero ­– e magari persino sotto il palazzo del re, resa invisibile dall’opulenza.
Tutto questo conforta e dà speranza. Siamo grati al morso del deserto che ci spinge a trovare la vena d’acqua smarrita.
Non sentiamoci dunque imprigionati nel racconto di un’infinita agonia dell’arte e della letteratura, come i più vorrebbero. Chi si lamenta ceda il passo a chi intuisce che l’inizio è ovunque e occorre stare sempre all’erta.
Ma non siamo nemmeno nell’idillio che altri inscenano, per consolarsi e beffare l’oracolo.
Perciò, per quel che mi riguarda, fallito il personale tentativo di (ri)costruzione di un’opera comune, ovvero il progetto di connettere le più disparate esperienze estetiche al fuoco di un confronto che divenisse nel tempo una forma intrinseca di discernimento, da offrire allo sguardo giudicante dei posteri (alludo all’esperienza della rivista «Atelier», che ho fondato e diretto dal 1996 al 2013), continuo a credere che il futuro sia destinato a un nuovo Rinascimento, in cui le singole tradizioni nazionali confluiranno addirittura in una letteratura universale: spazio intersoggettivo fuori dal tempo in cui Shakespeare e Dante, Omero e Gilgamesh, Tolstoj e Murasaki Shikibu guidano a braccetto le avanguardie di ogni latitudine. Ho detto: Rinascimento, ma va da sé che ogni categoria storica è già fuorviante, per chi è oltre ogni visione storicistica. Anzi, l’inizio è ovunque: persino alle nostre spalle.
Per tali ragioni tento qui una nuova forma di agguato, realizzo la mia profezia privata, mi espongo guardingo da un margine cercando corrispondenze, segnali cifrati da altri spazi di resistenza, accumulo frammenti, briciole d’oro. Provo a spargere qualche seme. Sia questa mia officina aperta a tutti i venti e, allo stesso tempo, incapsulata nell’unica e cangiante grazia che mi umilia e benedice, nell’atto in cui prendo voce, sul margine d’ombra, tra presenza e assenza.

Postilla: Il logo
L’arte, sosteneva Gottfried Benn, è «qualcosa di fisico, come un’impronta digitale». Ma il nostro patrimonio genetico è una tradizione che ci sovrasta; la nostra voce, a ben vedere, un coro; l’identità, un feticcio. Perciò il logo rielabora la firma: A e T si intrecciano, si caricano di suggestioni e memorie che non le appartengono, come un richiamo alla rivista Atelier, con la copertina caratterizzata da sempre da un ricciolo piuttosto vintage. I colori usati sono in contrasto, come le ambivalenza della personalità e i due volti dell’opera che qui si forma: letteratura e insegnamento.

7 commenti
  1. fabio
    fabio dice:

    si potrebbe leggere il manifesto completo?
    – L’ha proposto ai suoi allievi’
    . Cosa ne pensano’

    leggo la fine ‘ letteratura e insegnamento’ e riparto da un’equazione
    Insegnamento=condivisione=dialettica
    o se vuoi: letteratura= condivisione

    Letteratura come spirito d’azione, Letteratura come scambio, come dialettica dove i due (o più) poli si ricompongono nell’unità in cui gli opposti possano , sì ricongiungersi, ma in una veste nuova e originale per entrambi.
    Ambizioso, forse sopito, giammai smarrito nell’oblio, giaccia dunque il nobile anelito della ‘costruzione di un’opera (comune)’ . Non sia tentativo velleitario dell’autore che medita sul suo sé davanti alla ferma superficie del lago, ma sia piuttosto proiezione dell’anima in una bella forma vibrante in attesa dell’eco, affinché possa tornare arricchito dalla musica, dalla passione e dalla giovinezza. Versare la propria arte in uun’altra come fosse un fluido o un raro profumo. Vi è in tutto ciò una vera gioia , forse la più completa in un’epoca meschina come la nostra , grossolanamente carnale nei suoi piaceri e grossolanamente mediocre nei suoi fini

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    • Andrea Temporelli
      Andrea Temporelli dice:

      In effetti nei prossimi giorni riproporrò anche la seconda e la terza parte… No, non ho discusso questo manifesto con i miei studenti, anche se qui, in questo sito, si coniugano Scrittura e Scuola, le due gambe con cui cammino, o i due polmoni con cui respiro, o le due orecchie con cui ascolto, e così via. Chissà, un giorno mi capiterà di farlo, ma i miei studenti accedono al sito “dal basso”, sul versante della semplificazione didattica: starà a loro compiere eventualmente la scalata verso la Scrittura. Certo, io compongo in me questi estremi, cerco la sintesi, lascio che l’una provochi l’altra, ma non mi è ancora possibile mostrare il progetto nella sua interezza e (spero) coerenza, questo è il mio orizzonte di lavoro, forse la mia utopia.

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  2. fabio
    fabio dice:

    Dato il taglio propositivo del post e in attesa delle altre componenti del manifesto, perché non prova a introdurre con parole semplici in cosa consiste quel progetto che definisce, con candore d’altri tempi, ‘utopia’? Avevo inteso fosse costruito sull’ambizione di un impegno collettivo e di matrice preferenzialmente letteraria. In tal caso si porrebbero immediatmnt alcune questioni strategiche. Ovvero, da cosa parte un progetto letterario comune? Da quale spirito? consociativo o critico rispetto la scala di valori che mi è sembrato aver tutte le buone intenzioni di voler intaccare? L’educazione, ad esempio, una materia che la coinvolge professionalmente, la ritiene un valore assoluto?

    Se non le crea disturbo potrei visionare il manifesto al completo? I suoi presupposti, perlomeno. La mia e-mail ce l’ha, veda un po’ ..

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  3. fabio
    fabio dice:

    Accipicchiozza! dovevo intuirlo.
    un’altra cosa che non ho capito è il suo/vostro interesse allo scambio, al confronto aperto. Ho l’impressione di aver calpestato il sagrato di uno spazio pensato per altri scopi. peccato. mi sarebbe piaciuto cominciare ad indagare sulla scelta (tutt’altro che marginale) del famoso ricciolo, uno stilema a me molto caro che però colloco in un contesto e in un’epoca molto diversa, forse – concettualmente parlando – agli antipodi, della cultura vintage.. La saluto con buona stima e le auguro un felice e spensierato periodo di vacanza.

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    • Andrea Temporelli
      Andrea Temporelli dice:

      Ci sono anch’io tante cose che non capisco, in me e fuori di me. Ma lo scambio è inevitabile. Nessuno è più connesso al mondo di un monaco. Abbiamo una sola vita – pare – per capire, quindi è bene approfittare di ogni occasione.
      Buone feste anche a lei.

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  4. fabio
    fabio dice:

    ” e’ bene approfittare di ogni occasione”
    lo prendo per un invito, eh.
    In quanto alla connessione del monaco si tratta di valutare se questa genera modificazioni dentro e fuori
    la veste monacale, in entrambe le circostanze (separate ) si realizza un’appartenenza, che non è necessariamente una condivisione, un’ azione. Per muoversi è necessario un cambiamento biunivoco (dentro e fuori), insomma esistono gerarchie anche fra monaci a patto che si stabilisca un punto d’osservazione . Collettivamente parlando non abbiamo solo una vita. le biforcazioni possibili sono potenzialmente infinite che si intersecano in un meraviglioso molteplice a cui, ad esempio, la Vita ha dato un senso preciso. Se utilizzassimo una sola vita per capire non potremmo arrivare lontano.

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