His Hero, di Michela Pedron, acrilico su tela, cm120x100

L’amore ai tempi di Batman (di Massimiliano Parente)

(L’opera scelta come copertina è di Michela Pedron.
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Terminata la lettura dell’ultimo romanzo di Massimiliano Parente, L’amore ai tempi di Batman, mi ha preso un po’ di tristezza. Non è solo l’effetto della storia, la vita di Walter Moschino, il protagonista da cui scaturisce la trama (esigua) e il flusso di pensieri che disegnano lo spirito del tempo, nella porzione raccolta, ovviamente, da quest’opera.

La tristezza mi deriva soprattutto da un senso di delusione. Parente è infatti uno di quegli autori a cui attribuisco un particolare credito. Non che ne sia un lettore assiduo: ho frequentato anzi, finora, solo i suoi interventi critici (indifferente, peraltro, al personaggio che è andato costruendosi nel mondo letterario) e ho letto Canto della caduta, ma tanto mi è bastato per pensare che dalla sua penna potesse uscire qualcosa di luminoso, prima o poi. Magari ciò effettivamente è accaduto (qualche altro suo romanzo, tra gli scaffali, mi attende da tempo) o accadrà, ma intanto L’amore ai tempi di Batman è per me il segno di una resa. Ecco un altro autore che ha scelto di immergersi nell’immaginario pop, pur di inoculare quella dose di tragica poesia che il romanzo contiene. La sensazione, a tratti, è anche di una scrittura poco curata, possibile indice, da una parte, di naturalezza per la forza del personaggio creato, ma anche, d’altra parte, di semplice trascuratezza, come certi dettagli sembrerebbero dimostrare. Un nucleo doloroso e vibrante nel libro ci sarebbe, ma rimane piuttosto sommerso dalla banalità catalizzata dalla vita del protagonista.

Si parlerà di una necessaria mimesi del mondo odierno, del suo immaginario esiziale tra pornografia, miti da fumetto, realtà da videogioco, opulenza decadente. Ma Walter Moschino in questo senso è un pretesto sociologico, una figura ritagliata troppo opportunamente per definire se non un’epoca, una generazione. Certo, non mancano scarti felici, arguzie, passaggi più incandescenti, ossessioni perturbanti, ma in generale siamo all’ennesima replica dell’anti-eroe novecentesco. Walter Moschino è un inetto che, tra iperconsapevolezza nevrotica e fissazioni infantili, viene lanciato in un’avventura tragicomica, a tratti anche spassosa e persino classica nella sua conciliazione degli opposti (l’amore impossibile per la ex-pornostar che agli occhi dell’amante torna emblema di purezza), ma in definitiva mai completamente riscattata dalla trivialità di cui si è imbevuta.

Non è affatto un problema di ordine morale, non importano gli argomenti trattati. Anzi, il disincanto totale è ciò che a tratti riesce a imprimere un’inclinazione suggestiva alla materia. La tristezza viene dal doversi sorbire la continua predicazione del personaggio che domina la scena, prima di giungere alla vibrazione dell’opera. Un po’ come l’amata Sasha, sulla quale Walter Moschino vomita, prima di compiere l’ultima maldestra impresa di Batman e poterla finalmente cantare, nell’unico spazio vivibile per l’amore autentico: la distanza.

Occorre proprio questa distanza, all’arte, per evitare di parlarsi addosso. Occorre prefigurare un’altra forma umana da abitare, per raccontare l’umanità che stiamo vivendo. E nell’Amore ai tempi di Batman la sfida è stata dismessa nel momento esatto in cui si stava finalmente delineando.

 

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