Pioggia d'aprile, scatto di Elisabetta "a-lis-e"

Aprile di là (di Francesca Serragnoli)

(La fotografia scelta come copertina è di Elisabetta “A-lis-e”.
Cliccare sull’immagine per la visualizzazione completa)

Ogni volta che penso a Francesca Serragnoli la mia mente mi porta a Emily Dickinson. Non so quale sia la ragione, non c’è alcun tratto poetico evidente né biografico che possa giustificare questa associazione. Mi sono chiesto dunque se non ci fosse un’analogia fantasiosa in me, un richiamo simbolico. Forse, mi sono risposto, è perché considero Francesca l’espressione poetica di una mente adamantina, in cui la fragilità e la delicatezza sono connaturate alla forza – come nel caso di Emily.

Rileggo adesso la recente raccolta di Francesca, Aprile di là, e mi riapproprio di un tempo diverso, in cui scompare la tensione verso un fine, e non certo perché la realtà che viene abbracciata sia pacificata e senza inquietudine, ma perché prevale la sensazione di una grazia, di una luce che attraversa ogni istante: «oh mio sole tiepido d’ottobre / che ritorni sempre / come se fossi una vetrata trasparente». Tutto ciò che si fa esperienza poetica, anche gli errori (quelli minimi, raccontati con delicatezza nella poesia di cui ho appena citato il finale: «Tu li sbagli spesso i momenti della vita / le carezze troppo forti, i baci / che svegliano, le domande che irritano. / Ma io non li voglio cambiare / quei tratti di violetta nel muro slabbrato / quello sbagliarsi limpido del vento»; ma anche quelli determinanti, tragici, come la scomparsa di una persona cara) diventano espressione di un dono. Ecco, tutto il bene e tutto il male che la vita ci porta sono comunque, sotto forma di enigma, un dono.

Il tempo poetico che regala questa poesia ha un continuo contrappunto in un’altra dimensione. La sintesi di questa dolorosa bellezza è siglata proprio nel titolo: «Il libro», segna in nota l’autrice, «è dedicato alla cara amica e scrittrice Marina Sangiorgi, venuta a mancare il 10 aprile 2016». Riecco dunque la bellezza della vita che rinasce in seno alla natura e che pare, in questo suo mostrarsi, offendere, perché in aperto contrasto con la vicenda umana. «Crudele» aveva definito questo mese Eliot, ma Francesca Serragnoli preferisce citare Leopardi, quasi per risolvere le sue lancinanti domande/accuse – ma, ecco il miracolo poetico, senza annotare risposte, senza pretesa di sapere: basta appropriarsene, trasformarle delicatamente in affermazioni:

Non sono formiche che ti mangiano
entrano ed escono libere
fanno la comunione.
Sciogli l’aria da questo ingorgo
di clacson e ritorna lieve
ora che sai a qual suo dolce amore
ride la primavera.

C’è una presenza di aria e di gioia in questi versi che si fanno carico della sofferenza e del tempo che passa. È ancora questo il miracolo della poesia:

Il fresco della quasi primavera
si posa come una tovaglia
rido al tuo restare fermo
e tu fai il gesto del pinguino
giri su te stesso
come un pianeta in agonia
o una gioia che gioca l’asso
fra me e l’universo.

 

 

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