I poeti sono come passeri disperati, che lasciano dappertutto i loro escrementi (Carnevali)

Dio e le parolette del poeta

Credevo che per i poeti fosse giunto il tempo della pestilenza che avrebbe portato tutto a compimento; fine dei canti, delle odi, delle poesie e di tutte quelle putride cuccette. I poeti sono come passeri disperati, che lasciano dappertutto i loro escrementi. Ero disgustato dai cuori teneri che i poeti portavano in giro esposti nelle loro mani, come trofei sanguinanti della loro lotta con la vita; che portavano in giro sulle autostrade e per le scorciatoie della vita con le loro bocche sanguinanti gridando: «Aiuto, aiuto!» nonostante sapessero benissimo che nessuno mai li avrebbe ascoltati. (Chi diavolo ascolta i poeti a parte altri poeti?). Da una parte c’è il grande mondo e dall’altra il piccolo poeta con le sue parole infinitesimali; il re della forma, il ballerino infaticabile. L’artista non vede che il suo dominio è il vuoto, il suo impero è il mutismo, il suo regno è il disordine, la sua danza è scompiglio. Oh, gli artisti, questi fotografi dell’amore, questi cineasti a caccia di avventure! Troppe parole sono già state dette, troppe frasi scritte, troppe canzoni cantate rumorosamente, e troppi balletti sono stati danzati. L’artista parla di Dio come se fosse un parente, lo tratta come un cugino, ora per insultarlo, ora per lodarlo. Ha così bisogno di Dio l’artista, ha così tremendamente bisogno di avere un Dio che ascolti le sue parolette.

(Emanuel Carnevali, Il bianco inizio e altre prose memoriali, Pistoia, Via del Vento 2010, p. 16)

 

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