Remove, di Antonia Bufi, olio su legno, cm 20x20

La generazione dei nemici

Oggi festeggio il mio compleanno rileggendo una poesia in cui sono chiamato direttamente in causa. È di Paolo Iacuzzi e fa diversi riferimenti al sottoscritto (convocato per nome, anzitutto) e all’opera comune, ovvero all’esperienza “generazionale” che portai avanti con la rivista Atelier (la «collana annerita» allude per esempio all’edizione Atelier del Cielo di Marte, in veste completamente nera).

(L’opera scelta come copertina è di Antonia Bufi.
Cliccare sull’immagine per la visualizzazione completa)

da Paolo Fabrizio Iacuzzi, Jacquerie, Torino, Aragno 2000, pp. 41-48

LA GENERAZIONE DEI NEMICI
per M.M.

I
Ritrovarsi fra tanti amici. Noi per dire
io Andrea e Marco in un nome. Ritrovarsi
per stare in agguato. Perdemmo presto
i nostri padri. Ma noi per dire io abbiamo

di nuovo una casa. Noi per dire io
fummo tra voi prima che ci conosceste.
Vostri amici e nemici dispersi. Chi
portando libri in una collana annerita.

E chi pensando di smacchiare il nome
della comune poesia. Chi di ogni alto
palcoscenico fa vanto per un solo fine.
E chi in basso appartamento si erge

sul piedistallo. Ma noi per dire io
abbiamo impiegato tanto tempo.
Siamo i vostri fratelli maggiori. O forse
i minori del vostro comune amore.

II
Noi per dire io vedemmo che il Novecento
era finito. Ma non ve lo dicemmo. Noi
ci facemmo guerra per inseguire i padri
che nessuno sguardo ci dettero. Mai avemmo

antenati che insegnarono a far parlare ancora
i nostri morti. Portando a compimento
il corpo. Noi per dire io estrapolammo
vite in parabole cucite di storia e di sogno.

Come fossero grancasse di una banda noi
per dire io suonammo a tutte le feste. Per dirvi
non ci lasciate coi nostri rancori. Questa
per noi è solo la nuova stagione dei quaranta.

Per la vostra poesia di cose scavate al midollo.
Siate i padri ragazzi che mai avemmo per noi.
Feriti dalla diffidenza a vicenda. Colpevoli
di stare alla realtà come un cieco sta alla fede.

III
Di una sola poesia dura fino alla pietra.
Pietra pietra noi per dire io dovemmo
tornare indietro di molto tempo. Noi
per dire io dovemmo arrivare a capire

che nessun mestiere era dato che potesse
dimostrarsi vera carriera. Noi per dire
io avemmo padre di madre matrigno.
Non lasciò per noi essere quella

madre e sposa del padre vero. Adesso
prosciugati di ogni poesia aspettiamo
torni il tempo ulteriore. Noi per dire io
abbiamo bisogno di realtà che sia

sradicata dal pensiero. Farsi lama sul filo
di rasoio una nostra vita. Per operare
di urgenza un corpo malato. Cadavere
resuscitato. E pianto lo bagna e lo strina.

IV
Le chiavi dell’invettiva. A noi per dire io
non resta che un grido serpeggiato nel
deserto dell’ispirazione. Forse la morte
è questa assenza di ogni ulteriore civiltà.

Ma il vento di ponente spazza la nostra
viltà. Noi per dire io ci inchiniamo a rendervi
grazie. È il perdono mio per dire nostro.
Sappiamo soltanto ancorare la superbia

al porto dell’ignavia. Quando voi nasceste
io per dire noi avemmo colpa se la casa
a Piano di Furia fu la nostra tomba. E piovve
piovve piovve una solitudine rianimata

dal vuoto. Dovemmo ritrovarci in una lingua
comune di storia. Nella grammatica delle
scorie dopo l’alto amore delle parole.
Con armi e con elmetti dei veri combattenti.

V
Pensate davvero che noi per dire io
possiamo disappartenervi. Entrare dieci
anni più là in una casa comune. Dove
la realtà sorrade il pensiero. E il pensiero

viene come il bisturi a incidere carni
pronte a essere operate. Noi per dire io
siamo diventati i teschi vuoti di ogni
cervello. E quando scende la notte nelle

nostre teste non osiamo piangere per
quanto ci fa vili la nostra reticenza. Noi
per dire io siamo in cuore senza desideri.
Lontani da ogni cosa che non sia tentata

in comune gloria. Ora levate il manto
e svegliateci dal torpore. Fateci
svelte marante sensibili alla luce.
Quella della madre nel darci avanti.

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