Docente leader: tre modi di condurre una classe
Il primo modo è quello autoritario (leader autoritario). Si realizza attraverso l’imposizione, fa leva sulle regole, esercita la coercizione. Richiede forza in chi lo esercita e genera aggressività. Diventa ovviamente un metodo selettivo e produce ansia di prestazione. Nei più deboli il timore rischia di accrescersi a livelli insostenibili. La sua parola d’ordine è: disciplina. Al ragazzo si inculca il senso del dovere, la motivazione è sempre esterna finché non avviene il plagio e il super-io del ragazzo introietta i valori che stanno alla base di questo metodo.
È il metodo, peraltro, con cui sono stati allevati quasi tutti gli insegnanti, reduci dal sistema educativo basato sul “senso di colpa”, mentre oggi i ragazzi sono sensibili anzitutto al senso “orizzontale” – cioè relativo al mondo dei pari − della vergogna. Il leader autoritario è oggetto insieme di ammirazione e di odio: si invidia la sua posizione di potere, ma in caso di problemi o rivolte viene accusato, rinnegato e detronizzato con rapidità: del resto si tratta di un leader “duce” (cfr latino ducere), che guida il gruppo primeggiando su di esso. Le sue espressioni tipiche sono: “Per il vostro bene…”; “Un giorno capirete…”; “Il mondo è duro, occorre prepararsi…”, e sim. Il leader si identifica con la materia. Apprendere significa anzitutto imitare il leader.
Il secondo modo è quello permissivo (leader lassista). Non avendo la forza di guidare interamente la classe (magari anche perché si tratta di alunni di età maggiore), il leader concede al gruppo determinate libertà, delle zone in cui non esercita il proprio controllo. Tale concessione non è strategica, ma finalizzata a limitare i danni, a controllare le interferenze sul proprio monologo-lezione. I processi di apprendimento sono quasi casuali e demandati all’organizzazione autonoma dello studente. Spesso attorno al leader lassista si forma una cerchia di adepti, di ragazzi più volenterosi e impegnati che instaurano con il docente un rapporto di collaborazione. Non è raro che il docente in questione tenda persino a demandare a qualcuno di questi l’esercizio del proprio ruolo, in alcuni momenti della lezione. Questo metodo produce indeterminatezza dei processi e dei compiti e non controlla le relazioni all’interno del gruppo (con tutti i rischi conseguenti, soprattutto per i più deboli). C’è la possibilità che l’insegnante viva determinati momenti in cui si trova automaticamente legittimato a esercitare il ruolo di leader (nelle verifiche, nei momenti in cui è spalleggiato da un collega) come un’occasione di rivalsa. “Fate pure come credete, tanto poi ci vediamo all’esame”, è il messaggio implicito. Per varie ragioni, ritengo che un tale metodo sia più frequente con il crescere d’età degli alunni: forse all’università è persino dominante, sia perché lo studente è ormai un adulto responsabile sia perché il numero di frequentanti di una lezione è alto.
Il terzo modo è quello democratico (leader autorevole). Punta all’inclusione, crea un ambiente costruttivo, in cui domina la fiducia e un atteggiamento positivo. Tutte le scelte vengono motivate e il percorso per raggiungere gli obiettivi è frutto di concertazione. Ciò significa che i tempi possano essere rallentati e che in certe fasi l’atteggiamento sperimentale generi un po’ di confusione, ma se l’insegnante è bravo sa guidare dall’interno gli studenti ad assumersi responsabilità e a prendere consapevolezza di ogni scelta. Anzi, si può affermare che il docente sia anzitutto un facilitatore, un leader nascosto che agisce dietro il gruppo (cfr latino agere), permettendo agli studenti di crescere e divenire, a turno e a seconda delle circostanze, a loro volta dei leader (leadership condivisa).
Il giudizio intorno a queste modalità di conduzione della classe sono impliciti nella descrizione, ma è utile precisare che, in taluni momenti, è consigliabile o necessario tornare alla prima modalità, quando per esempio una classe troppo esuberante rischia di condizionare in modo negativo il percorso di apprendimento in un frangente determinante.
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