Oltre il Novecento che è in noi
(L’opera scelta come copertina è di Luciana Cedrone.
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Quando ha cominciato a bruciare il secolo scorso e che cosa rimarrà, fra non molto, di tante voci, che fino all’altrieri sembravano intangibili e altissime? Quando ha cominciato a finire l’epilogo apocalittico di un’intera cultura? Ed è davvero possibile darsi un inizio, oltre lo stadio decisivo raggiunto dall’uomo occidentale, oppure non ci resta che vivere in un tempo perennemente “post”, che ha reso preventivamente deserto ogni futuro, già compreso e puntellato nella terra guasta di un presente coltivato a bombe? Ancora: come è possibile porsi queste domande senza ricadere nell’ingenuità di uno storicismo che è parte della combustione infinita che ci toglie ossigeno e sguardo creativo?
Il Novecento continua, in tante parti di noi e del mondo, a seminare la sua disperazione per il tramite degli stessi conati di onnipotenza che ci hanno educato, con ironia micidiale, alla tragedia; eppure, un capovolgimento interiore è possibile. Forse si tratta persino di una silenziosa rivoluzione già in atto, sotto una forma che non sappiamo riconoscere: troppo semplice la sua struttura, per i nostri sofisticati sistemi di cauterizzazione. Se è così, di tale chance non è dato disquisire da saccenti, nemmeno della sua eventualità teorica: si dà, beatamente, nel suo accadere imprescindibile, e chi ne parla mette la faccia in una figura tra il clown e il veggente – dipenderà dai punti di vista con cui gli verrà tolta subito, in una battuta, la parola. Fatto sta che la storia infelice della nostra infanzia e dell’adolescenza sta fiorendo in una maturità che va compitando la grammatica di una gioia dura, scabra, compenetrata dalla sofferenza. La sua voce non è ancora canto, ma aspira a diventarlo, per quanto modulato su una musica nuova, che richiede un lungo lavorio sull’ascolto, che pretende un’educazione al riconoscimento dell’antico-sempre-nuovo.
Il varco è qui, tra il superuomo e l’inetto. Lo sappiamo da tempo, eppure siamo fermi sulla soglia, paralizzati dall’eccesso di sapere. Ora è il momento di addentrarci nel nostro più reale presente e di divenire davvero contemporanei, accordati con il fiato eterno della poesia, armonizzati con le nostre ignoranze. Attraverseremo così, non in altro modo, il velo di fuoco.
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