Poeti nel limbo (2005)

Poeti contemporanei: Nicola Gardini

«Ho vissuto l’asma […] come una perturbazione del mio rapporto simbolico col mondo. Tutto era perturbato. E quindi sono portato a concepire l’asma […] alla stregua di un’avventura intellettuale» (Enrico Filippini). In Gardini, con le poesie raccolte sotto il titolo La primavera nel quarto volume einaudiano dedicato ai Nuovi poeti italiani, la patologia allergica diveniva il prisma attraverso cui ogni motivo subiva un’originale rifrazione. L’eclettismo formale che ne discendeva (come di un reale frantumarsi del respiro poetico in ritmi differenti) recava in sé il timbro di una coerenza ispirativa.

La ricchezza tonale e l’esercizio metrico, estremamente ricettivi anche nei confronti di materiali linguistici eterogenei, ponevano in essere delle variazioni su tema, necessarie per approssimarsi al segreto dell’origine, come se l’unico ritorno possibile fosse l’avanzamento, come se soltanto l’acquisto di distanza promettesse uno sguardo sintetico sul luogo di provenienza. Accanto a strofe perfettamente conchiuse, ecco allora poesie apparentemente amorfe, in cui il verso si avvicina al grado zero senza però annullarsi; ecco addirittura il ricorso alla sestina o a dialoghi beckettiani («Servimi bene, Ippolito, con molto riguardo. / Alla niçoise togli l’uovo»).

La primavera rappresentava la prima parte di un libro inedito intitolato Stasimi, di cui si fornivano anche gli estremi cronologici di elaborazione: dal 1991 al 1994. Non sappiamo se la raccolta poi effettivamente edita, Atlas (composto tra il 1993 e il 1997) sostituisca il precedente progetto, ma sicuramente segna un ulteriore allontanamento da quella prima manifestazione. Il soggetto protagonista rischiava di fissare la propria caratterizzazione su un unico tratto, il prisma dell’allergia. Ora, invece, con il complicarsi delle situazioni, delle comparse, dei riferimenti, dei contesti culturali, l’io si perde e riemerge nella trama di quello che appare quasi un romanzo in progress. Ovviamente le fonti primarie di tale romanzo saranno biografiche; più utile sarà avvertire della capacità di questa poesia di trasformare l’impulso lirico fino a offrire l’io sulla pagina come un personaggio della scena: non si avvertono sbavature emotive, l’autore muove le proprie figure da una distanza di retaggio classicista. Il valore attribuito all’esercizio formale, che qui ulteriormente si complica, ne è un sintomo. Atlas si apre addirittura con quattro poesie scritte in greco, mentre accoglie in seguito una sezione in dialetto molisano: al labor metrico si innesta l’esercizio linguistico e si badi che in tale prospettiva il dialetto resta estraneo (e prossimo) al poeta quanto una lingua classica. Il senso di tale zanzottiano confronto con i codici è sempre quello di eludere una mimesi impossibile che restituisca il vissuto, a vantaggio di una più attiva perlustrazione reinventiva del mondo. Il caos cosmico diventa universo soltanto per mezzo dell’elaborazione linguistica; il farsi e disfarsi della poesia e dell’ordine che istituisce non hanno velleità di attingere l’assoluto, definiscono una cosmogonia privata, partecipe del divenire dell’essere. Un punto di riferimento si individuerà allora in quell’Auden di cui pure Gardini si è traduttore.

Atlas: il titolo postula un’istanza di vastità inerente anche alla pronuncia poetica, senza la quale non sarebbe nemmeno possibile. La grandezza (non certo superficialmente nel senso di magniloquenza d’espressione) è qui una condizione indispensabile. Per definire i suoi motivi, l’autore ha bisogno di saccheggiare liberamente da un patrimonio culturale aperto a ogni stimolo e in questa prospettiva la sua cifra peculiare s’intenda pure, positivamente, come postmoderna. Il romanzo in progress non si espande solo per l’alternarsi dei personaggi e delle occasioni, talvolta metafisicamente emblematiche e talora dimesse, prosastiche (la lezione montaliana lascia ancora tracce indelebili); le sue strutture portanti accolgono trame oniriche e producono immagini per il tramite di un collasso fra molteplici associazioni e riferimenti culturali (si veda l’essenziale apparato di note esplicative). La cittadinanza in più tradizioni (segno anche qui di una patria ritrovata sempre altrove) e il possesso di un repertorio vocale ampio sono l’unica garanzia al poeta di capire (contenere) quanta più realtà possibile. Non c’è dispersione: tutto proviene dall’unica luce rifratta dell’io. Così mitologia classica e mitologia privata si rispecchiano riplasmando vicendevolmente nuove e provvisorie forme fantastiche. Passando dall’una all’altra, assumendo di volta in volta la rifrangenza offerta dai diversi dispositivi metrici, il poeta avvista sé stesso.

In questa serie di spostamenti infiniti e di infinitesimali appercezioni, Gardini resiste anche alla tentazione del nostos e tronca l’elegia. Il dialetto non rappresenta alcun approdo o regresso all’origine, esattamente allo stesso livello del greco, era solo uno dei tanti possibili punti di partenza: «Il viaggio, che non è mai iniziato, / non ha fine».

 

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