La valutazione sintetica e intuitiva
Quell’anno avevo davvero esagerato. Mi ero imposto di organizzare quasi tutto il programma di geografia di seconda media attraverso delle esposizioni e di permettere agli alunni di valutare i propri compagni. Ero pronto, ovviamente, a correggere il voto, temendo dinamiche immature facilmente immaginabili. Ma era una classe numerosa e il voto di simpatia o antipatia sarebbe stato riassorbito dalla media complessiva.
Il problema tuttavia non era questo. Volevo sperimentare una griglia di valutazione idealmente perfetta, quindi mostruosa. Comprendeva decine e decine di voci. Avevo chiesto alla collega di arte una rubrica specifica per i cartelloni che avrebbero preparato i ragazzi, per incorporarla nella mia. Il punteggio massimo teorico arrivava a 100. La griglia era tanto analitica che gli studenti, mentre assistevano alla prova dei loro compagni, erano addestrati a controllare la postura del corpo, la gesticolazione, la posizione assunta nell’aula anche in rapporto agli altri ragazzi del gruppo che esponeva, i tic verbali, gli indugi della voce…
Al termine dell’esposizione, mentre gli studenti compilavano la griglia, io mi annotavo un voto così, sintetico, a spanne, su un foglietto. Poi mi mettevo al computer e compilavo un lunghissimo foglio di calcolo, con tutti e venticinque i punteggi assegnati dagli alunni ai loro compagni, protagonisti della prova del giorno. Nove volte su dieci, il risultato era sorprendente: all’alunno che raggiungeva 76,5 punti su 100, io avrei assegnato intuitivamente un 7,5; per quello che raggiungeva 78,5 punti io avevo annotato un 8.
Morale dell’aneddoto: ho il massimo rispetto della valutazione immediata di un insegnante: so che ha affinato tali competenze che, come un falegname, non ha bisogno di prendere il metro per tagliare l’asse in un punto adeguato.
Tuttavia, ciò che maggiormente ricordo con soddisfazione di quell’anno, non era la mia abilità di valutazione, ma la capacità degli studenti di migliorare esposizione dopo esposizione. I ragazzi imparavano a controllare le mani, a non stare con le spalle appoggiate al muro, si alteravano nell’aula con una coreografia studiata, curavano il tono della voce e la pronuncia “rotonda” di ogni parola…
Quindi, il vero insegnamento di quell’anno è stato questo: le griglie non servono tanto al docente, quanto alle famiglie (come dimostrazione di professionalità e tutela per tutti), ma soprattutto servono agli alunni.
Se impostate in modo sufficientemente scientifico, sono davvero uno strumento per apprendere. E per diventare autonomi, capaci, alla fine, di autovalutarsi.
Con piena soddisfazione del docente, che raggiunge il suo vero obiettivo: diventare inutile…
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