Giostra

Scrivere agli assenti

Constato da anni la totale assenza di comunità, intorno. O si accetta la logica ruffiana e presenzialista, ovvero l’illusione che il cerchio della giostra sia l’universo, o si accetta di scrivere nel vuoto. Le eccezioni restano, appunto, eccezioni. Rarissime. Anche questo sito è una contraddizione vivente: un esercizio solitario intorno a un’ipotesi di civiltà. Bene, benissimo. Scolorata ogni velleità romantica, non c’è bisogno di eroismo, mentre si scagliano le proprie parole contro questo reo tempo.

E dunque non ho lamentele o rimostranze. Chiedetelo al webmaster: non tengo nemmeno d’occhio i riscontri numerici. Scrivo perché mi piace e perché ho bisogno di forzarmi alla disciplina, per non lasciarmi intossicare dai fantasmi fino al parossismo.

Un uomo compie il proprio dovere perché lo ritiene giusto, non perché gli conviene. Nel solco nero della parola, alla fine, non c’è solitudine. Ma deserta è la landa bianca da solcare.

Ho conosciuto e incrociato finora molti poeti e scrittori, nella mia vita. Troppi. I più, è come se si fossero ridotti a cenere. E saranno, non esito a crederlo, vivi e vegeti, magari nel pieno del successo. È ciò che auguro loro, senza ipocrisia. Il morto sono io.

E poi c’è la quotidianità, che ci lavora tutti quanti. Famiglia, figli, viaggi, imprevisti, e ovviamente il lavoro, per chi ha la fortuna di averne uno che davvero ti prende l’anima. Chi ha più tempo da dedicare alla scrittura? Meglio: non tanto alla scrittura in sé, quanto alla cura dello spazio in cui essa mette radici. Sapere che c’è qualcuno che attende un tuo inedito, che aspetta il tuo nuovo romanzo; qualcuno pronto a darti un consiglio (vero, esigente) su qualche pagina ancora imbozzolata nella sua idea: sarebbe, è inutile negarlo, una consolazione. Macché. A questa età, poi, tutto accelera, i figli irrobustiscono le spalle, ti sopravanzano. I padri s’incurvano. E tu, nel mezzo, cammini sul filo teso come un funambolo.

Per non correre il rischio di vivere d’attesa, però, adesso accelero anch’io. Devo incarnare la mia profezia fino in fondo. Questa curva va presa come nell’euforia della giovinezza, a piena velocità.

Perciò eccomi ancora qui a scrivere, nel vuoto. Scrivo per gli assenti. Convoco nel solco della parola i perduti e i venturi. E sto bene, il silenzio intorno affila le parole, quelle vane abortiscono in un fiato di fumo.

Impiccato all’amo delle mie parole,  mi tiro su da solo.

Sono quasi felice.

 

 

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