Stanare Ielmini
Su Pangea accade di veder pascolare insieme poeti di epoche diverse, a braccetto, come fossero amici. È stato recentemente avvistato, per esempio, persino Riccardo Ielmini – il poeta più schivo di tutti – che bello beato chiacchierava con Iosif Brodskij.
Le prove si trovano per esteso qui. (E leggete bene i versi di Riccardo)
Da parte mia, sottoscrivo in pieno le conclusioni che nascono dall’avvistamento:
Ad ogni modo, abbiamo imparato due cose. Primo: per i poeti non esiste la morte, non c’è distanza tra i vivi e i morti, un morto può essere più espressivo di uno pieno di vitalità. Secondo: la bella poesia in Italia, oggi, si legge nel sottobosco degli ignoti, in un sottosuolo che brulica di bagliori, un humus così fragrante che, siamo certi, darà fresco nutrimento al Dante del millennio venturo. Non importa tanto scrivere il ‘capolavoro’ – quasi sempre opinabile – ma creare le condizioni perché esso accada.
Rincarerei anzi la dose, anche perché è ora di stanare definitivamente il buon Riccardo. Diciamolo apertamente, allora: sono i poeti più appartati quelli che sanno osare.
In serie A contano i muscoli del presenzialismo, il doping delle recensioni, la presenza mediatica delle wags. Se volete scovare il talento, tornate a girare in qualche campetto di provincia.
P.S. A proposito di wags: quelle in copertina a questo articolo non pretendono affatto di stanare Ielmini, che anche in questo è fin troppo morigerato. Serviranno per qualche lettore, semmai
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