Fuori catalogo (1)
Questo capitoletto che ho sacrificato, a suo tempo, durante la revisione del mio romanzo, mi pare abbia una certa autonomia. Come racconto ve lo offro comunque a dosi omeopatiche, in più puntate
Immaginate di essere stati, da ragazzi, il primo fidanzatino, che ne so, della Belen, quando il suo corpo cominciava appena a turbare la magrezza infantile con qualche curva sospetta. Tutti gli adolescenti, del resto, durante quella che gli psicologi definiscono “l’età negata” e i genitori, concordemente, “l’età della stupidera”, commettono delle sciocchezze (e sia chiaro che, nel nostro ragionamento per assurdo, a commettere l’errore sarebbe stata lei). Immaginate poi che lei sia diventata lei e voi siate rimasti voi. Non vi rimarrebbe, per dirla con un grande poeta, che vivere per dire eternamente addio. Così stava accadendo in effetti a Max, anche se soltanto la vicenda di Davide gli stava lasciando lentamente prendere consapevolezza di ciò.
Perché il primo editore non si scorda mai. E se il primo editore è addirittura l’editore più prestigioso dell’intero panorama nazionale, come appunto era capitato a Max, immaginatevi la sua situazione. Certo, qualcuno ha un carattere tale che risponderebbe: «Vorrei essere io nei suoi panni. Almeno potrei andare in giro a vantarmi di quel glorioso esordio»; ma Max non era persona da vantarsi — e di che cosa, poi? Quanti erano stati gli autori passati nelle più prestigiose collane per poi immediatamente ricadere nell’oblio? Chi si ricorda adesso di libri come Autoritratto con gallo di Ramella Bagneri o Lo stesso dolore di Artoni o Metàmeri di Di Raco? Si sarebbe potuti rimanere interiormente orgogliosi, ma a patto di aver trovato la forza di andare avanti, di aver continuato a scrivere. Nessuno, sano di mente, pagherebbe le prime, balbettanti esperienze intime con la Belen al prezzo di un’intera vita da astinenza.
Il tutto peggiora considerando che il primo grande amore della nostra vita si perde sempre per qualche motivo futile. C’è chi si è lasciato convinto che fosse tutta una finta e poi è rimasto solo davvero perché lei non aveva abbastanza senso dell’ironia; c’è chi non aveva voluto cedere la sua posizione nel letto a due piazze; chi semplicemente per essere certo di aver trovato la persona giusta aveva bisogno prima di provarne qualcun’altra, solo per avere un paragone attendibile. E via discorrendo. Ma anche tu, lettore, potresti aggiungere qualche caso, vero?
Fatto sta che il primo, e unico, editore di Max lo aveva lasciato perché, a suo dire, il suo libro di poesie non aveva venduto abbastanza: cinquecento copie o giù di lì. Max tuttavia si era per un po’ di tempo convinto di non essere stato davvero scaricato. Non c’era stata, in effetti, una dichiarazione esplicita in merito. Da una parte, lui non si era fatto più avanti con una nuova proposta di libro, perché non aveva scritto nulla che gli paresse abbastanza omogeneo e sostanzioso e nuovo; dall’altra, l’editore si era materializzato solo con le periodiche, asettiche indicazioni con il resoconto delle vendite, già del tutto esigue dopo appena un anno, e praticamente nulle nei successivi, che tuttavia avevano tacitamente significato, agli occhi di Max, come lo sfumare di un rapporto, fino al fatidico “Fuori catalogo”. Non c’era in effetti nulla da aggiungere, né da una parte né dall’altra.
E tuttavia: aver venduto poche copie del proprio libro: esiste un motivo più futile per lasciare un poeta?
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