Zmorovič prigioniero di sé stesso
Un altro brano a suo tempo tagliato dal romanzo Tutte le voci di questo aldilà.
Intanto Silvio aveva raggiunto l’aula per il ricevimento.
«Professore buongiorno», disse l’illustre genitore.
«Buongiorno, è un piacere fare la sua conoscenza», rispose Silvio.
«Avrei voluto venire in qualche occasione precedente», disse Zmorovič, alludendo all’inserimento di suo figlio, non privo di difficoltà, nell’anno precedente, «anche solo per presentarmi e conoscerla, ma davvero gli impegni non mi hanno dato tregua.» Parlava un italiano impeccabile, con una pronuncia appena un poco lenta, studiata.
«Non si preoccupi, immagino. Ci sono genitori che non incontro nemmeno una volta in tutta la carriera scolastica dei figli. Si accomodi. Potremo parlare tranquillamente, non c’è nessun altro, oggi.»
«Spero di non impegnarla troppo, in ogni caso.»
«Si figuri. Non posso comunque non approfittarne per farle i complimenti per i suoi libri, sempre densi, profondi.»
«Densi… forse voleva dire difficili, è stato gentile, grazie.», si schermì, mentre Silvio apriva i suoi registri e prese il pacco con le verifiche più recenti.
«Ho visto che nemmeno l’ultima verifica, quella di ripasso sull’Odissea in vista dello studio di Joyce, è andata bene», disse Zmorovič.
«Già, sono sorpreso anch’io. All’inizio mi sono domandato se per caso non mi aspettassi troppo, trattandosi appunto di suo figlio. Ma ho riletto il compito anche alla luce di quanto fatto dai compagni, e devo dire che la valutazione mi sembra giusta.»
«Non mi permetterei di affermare il contrario. Vorrei soltanto capire.»
«La spiegazione, a dire il vero, è piuttosto semplice. Le faccio vedere. Ecco, non ha saputo rispondere con precisione in merito alla questione omerica, si è limitato a dire che non ci sono troppe ragioni per dubitare della tradizione e quindi dell’esistenza di Omero.»
«Non mi sembra che il ragionamento sia del tutto sbagliato.»
«Certo, ma non ha ricostruito la storia filologica dell’Odissea con sufficiente precisione. E anche nell’esercizio successivo», disse Silvio illustrando il foglio con la penna, «vede, è impostato male».
«Sì, vedo. Resto soltanto dispiaciuto perché ho visto mio figlio impegnarsi, e con piacere. Ha letto interamente l’Odissea più di una volta questa estate, e ha voluto anche chiedermi delle opinioni. Io, solitamente, non riesco a seguire mio figlio negli studi, ma in questa circostanza abbiamo chiacchierato di gusto.»
Silvio, di fronte a queste affermazioni, guardò di sottecchi il volto di Jurij Zmorovič ed ebbe la sensazione precisa di avere davanti a sé un genitore qualunque, anzi, il solito padre apprensivo.
«L’ultima domanda», riprese Zmorovič, «mi sembra tuttavia ben impostata.»
«Abbastanza, ma prima di attribuire importanza alle riflessioni personali, è necessario acquisire i ferri del mestiere. Lei lo sa meglio di me.»
«A dire il vero, su questo punto non sono del tutto persuaso», ribatté l’illustre studioso, risollevandosi sulla propria sedia. «Noi ci confrontiamo con le opere per goderne del significato, non per il mero gusto di applicare le nostre tecniche.»
A questo punto Silvio non poté trattenersi: «Ma come! Capisco che sia deluso da suo figlio, ma che proprio lei affermi cose del genere, mi pare assurdo. Non deve sentire il fallimento di suo figlio come un suo fallimento.»
«No, mi sono spiegato male. Io non sono affatto deluso da mio figlio, ma per mio figlio, e poi mi sembra di essere stato sempre fedele al principio di mettere al centro dell’attenzione il testo e non la disciplina.»
«Appunto! È il testo, con le sue caratteristiche, che noi abbiamo analizzato in classe. Se mi permette, poi, come già le dicevo, conosco bene i suoi libri, che hanno lasciato una traccia indelebile nella cultura critica del Novecento.»
«La ringrazio ancora, ma a me sembra che i miei libri fossero proprio tesi alla comprensione del significato delle opere letterarie.»
«Il significato di un’opera ci arriva attraverso le sue strutture: potrei citare numerosi suoi passi in cui afferma questo. E ricordo la sua mirabile disquisizione sulle isotopie dell’Alcyone di D’Annunzio.»
«Sono nuovamente lusingato. Tuttavia gli strumenti che noi utilizziamo per cogliere il senso di un’opera, alla fine devono risultare trasparenti, devono lasciarci a contatto con l’opera stessa, nello spazio libero della lettura. Altrimenti tutto l’esercizio propedeutico è vano, vizioso.»
Silvio era basito. Non voleva credere che Zmorovič avesse pronunciato davvero simili frasi. «Adesso sono io a sentirmi spiazzato», disse francamente. «Lei non può negare di essere uno dei teorici più eminenti delle teorie ermeneutiche più accreditate e scientificamente fondate.»
«È vero, i miei libri più famosi sono legati al clima di quegli anni. Però, vede, io allora, come saprà, lavoravo in un Paese oppresso da un regime e da un’ideologia che non permettevano la libera fruizione della letteratura. Gli studiosi potevano leggere solo determinate opere e apprezzare il loro contenuto compatibile con il regime. Per noi spostare l’attenzione sulla struttura rappresentava il modo più naturale, e l’unico possibile, per restare liberi nel nostro esercizio di interpretazione.»
«Sì, capisco benissimo, ma mi sembra che adesso lei scinda forma e contenuto.»
«No, evidentemente non intendevo questo.»
«Inoltre, lei sa che in Italia abbiamo fatto tanta fatica per uscire dalle pastoie di una retorica del contenuto e da un idealismo che ci imprigionava nel soggettivismo più estremo… Anche per questo le sue ritrattazioni, me lo lasci dire, mi stupiscono.»
Zmorovič si era accorto che il proprio interlocutore si era ormai infastidito e cercò un tono particolarmente dimesso e gentile per precisare: «Facciamo evidentemente fatica ad intenderci. Io non sto ritrattando nulla.»
«Ma, allora, quale sarebbe, in definitiva, il senso dell’Odissea?», sbottò Silvio.
«Be’, non è così semplice…»
«Lo so, io mi confronto con questa difficoltà quotidianamente.»
«Potremmo dire che l’Odissea ci racconta di un uomo che, per quanto curioso dell’umano ed esperto di luoghi e genti, e pronto all’avventura, desidera sopra tutto tornare a casa. Ecco, il poema ci racconta la nostalgia, la forza di un uomo che resta fedele alla sua natura. Odisseo è l’uomo capace di rifiutare l’immortalità, è l’esempio di chi attraversa mille vicende tenendo ferma la barra del timone sull’unica meta possibile: la patria, la propria origine, ma anche il regno che ha il dovere di amministrare. Odisseo è l’individuo che rispetta i decreti divini, ma non rinuncia alla propria natura di mortale, perché sa che la vera bellezza non è eterna, ma attraversa il tempo e declina come gli orizzonti che ha contemplato, sperando nel ritorno. Potremmo persino dire che Odisseo è la profezia del nostro destino: forse anche per noi, adesso, è cominciato il tempo del ritorno. La nostra è l’epoca della resistenza al canto delle sirene, della rinuncia al potere folle sulla natura, è l’epoca del ritorno a casa, della riscoperta di una dimensione più giusta per la nostra condizione umana su questa terra ormai esplorata in lungo e in largo, anche a prezzi altissimi.»
Ci fu un istante di silenzio, a far da cassa di risonanza alle frasi di Zmorovič, ma Silvio non se ne lasciò incantare: «Bello, tutto questo è molto bello ma… come dire… è puro esercizio retorico. Sono cose che andavano bene ai tempi in cui in classe si facevano i temi. Ora che siamo finalmente passati a un sistema valutativo più chiaro e oggettivo, lei capirà benissimo che questo esercizio interpretativo è un volo immaginifico, un bell’accessorio, la ciliegina sulla torta, insomma: qualcosa per raggiungere l’eccellenza. Purché, prima, si pensi alla sostanza.»
«Cioè? Quale sarebbe questa sostanza?», chiese il genitore sinceramente curioso di sentire la risposta.
«Insomma, mi pare inverosimile doverlo spiegare a lei. La sostanza è l’opera, con le sue caratteristiche formali. Il punto per noi insegnanti è rendere abili i nostri studenti nel decodificare qualsiasi testo, perché sappiano disinnescare ogni retorica. Ne va della loro libertà, in un mondo sovraccarico di messaggi subliminali.»
«Ma la libertà ha senso senza la felicità? Voglio dire: dov’è la felicità nel leggere l’Odissea?»
«La felicità? Forse sta chiedendo un po’ troppo a un insegnante. Eppure lei, in fondo, è un collega, e dovrebbe capirmi bene.»
Se all’inizio del colloquio era Silvio a trovarsi maggiormente intimorito, ora il tono della sua voce lo rendeva più sicuro di Zmorovič. Quest’ultimo, infatti, per porre termine al dialogo, che aveva preso una piega indesiderata, si limitò ad aggiungere arrendevole: «Sì, è vero, forse a un certo punto ho perso di vista l’essenziale. Credo di aver capito il problema di mio figlio: gli dirò di concentrarsi maggiormente sul testo da esaminare e sugli appunti. Sono convinto che le cose miglioreranno.»
«Sono fiducioso anch’io. Si vede che suo figlio è intelligente, deve solo trovare il metodo di studio corretto e affinare l’italiano, che è già molto buono, ma sulle sfumature, ovviamente…»
«Ha ragione. Cercherò, da genitore, di rendermi utile.»
«La sua collaborazione sarà preziosa. Ed è stato un piacere fare la sua conoscenza.»
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