Qualche bella tirata d’orecchi
La prima, ovviamente, è per me ed è la più importante, perché mi accingo a sentenziare laddove avrei soltanto da mettermi, zitto, a imparare. Nessuno può permettersi di camminare senza farsi mille scrupoli sul confine tra la sacrosanta vergogna e l’umiliazione.
Ma la seconda è per gli insegnanti, che mancano di personalità e non sanno tenere la classe, che danno il cattivo esempio arrivando in ritardo e impreparati alle lezioni, che trattano l’aula come un palco per sublimare la frustrazione, dal momento che altrove, invece, nessuno darebbe loro ascolto (per fortuna). E che talvolta durante i consigli di classe correggono le loro verifiche, e poi si giustificano (“Ma io stavo ascoltando”) esattamente come i loro peggiori allievi.
La terza è per gli ex insegnanti in pensione, che una volta, quando c’erano loro, sì che si filava dritto! – E pensano che fosse merito loro.
La quarta è per gli studenti, troppo banali e prevedibili, ignoranti e presuntuosi, che non si rendono nemmeno conto di che cosa sia un adulto, quando se ne trovano di fronte uno significativo. Non capiscono nemmeno quanto sono noiosi in tutte le loro demenziali provocazioni. No, non capiscono.
La quinta è per i presidi, i ministri della pubblica istruzione e tutti i dirigenti scolastici di qualsiasi categoria, che chiedono agli insegnanti di diventare anche educatori, ma che alla prima educativa tirata d’orecchi che i docenti si permettono di applicare ai loro presuntuosi bamboccini, si tirano indietro, ritrattano, cambiano partito, calano le brache.
La sesta è per i genitori, che sono amiconi dei loro bamboccini viziati, e sentono male loro quando ci si permette di sculacciarli, invero troppo tardi.
La settima è per quelli che non tirano mai le orecchie, fiduciosi nel tempo, nelle parole, nella tolleranza lassista, perché si dimenticano quanto siano i ragazzi anzitutto a desiderare una risposta emotiva e fisica, in determinati frangenti in cui è necessario sgonfiare le parole, interrompere i bla bla, spezzare la catena di sant’Antonio delle giustificazioni e delle precisazioni.
“Ma perché non posso fare quello che voglio?”. “Perché te lo dico io”. E basta
Poi, quando l’eletto sarà pronto per capire, gli si spiegherà perché ciò che è stato imposto era giusto.
Del resto, educare significa proprio cavar fuori il meglio da una persona: con una sana tirata d’orecchi, qualche volta.
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