I dieci libri più belli (eh?!)
Segnalare i dieci libri più belli: sembrerebbe il solito giochino del cavolo (avete presente quelli che su Facebook propongono la domanda del giorno, giusto per nutrire gli algoritmi del sistema e restare sull’onda della chiacchiera vana?). Invece questa volta è la provocazione di un genio. E allora, come sottrarsi?
Eppure, proprio non riesco a fissare graduatorie. Sono in continuo movimento io, e la stessa letteratura è una perenne orogenesi. Ma conosco (e ne ho scritto in tempi non sospetti) la necessità di tirarsi addosso i vari canoni, di tornare a casa come San Sebastiani carichi di titoli che ti trafiggono…
Dunque, Brullo provoca, bisogna dimostrare di avere palle, e allora alzo lo sguardo (ma sono in apnea, con la testa nel fango della bruta vita quotidiana: vedo quel che vedo, al momento) e vi cito i libri che tengo adesso a tiro. Evitando i tre-quattro che sono già nel canone di Davide.
Attenzione: sono quelli che mi fanno soffrire e sperare. Non so se sono belli in assoluto. E dietro di loro monta l’onda dei capolavori che non ho ancora letto davvero, ma appena assaggiato, pregustato, sondato, in attesa dell’occasione giusta per l’affondo….
Ok, basta. Ecco la mitragliata. Chi becco becco.
Giacomo Leopardi, Le operette morali – Perché a volte si capisce che la poesia di zio Jack, pur restando poesia eccelsa, è la trascrizione di un pensiero filosofico già compiuto, ma il suo pensiero resta una punta poetica conficcata nel cuore di tutta la nostra modernità. Montale ne rimase trafitto per sempre, per esempio
Cesare Viviani, L’opera lasciata sola – Il più bel poema italiano del Novecento
Milo De Angelis, Somiglianze – La scaturigine di una delle poche visioni poetiche originali d’oggidì, a cui tanti ancora si abbeverano
Giorgio Manganelli, Hilarotragoedia – Avrei voluto scriverlo io
David Foster Wallace, Infinite jest – Eccessivo, a tratti insopportabile per l’esibizione di bravura e qualche concessione al giovanilismo. Ma la sua furia analitica… Prendete i due principi calviniani, esattezza e molteplicità, e fateli copulare: ecco.
Paul Celan, Le poesie – C’è bisogno di motivare?
Franz Kafka, tutto – Perché fu il primo narratore che mi fece capire come anche la prosa poteva tagliare l’anima e perché ogni volta che lo leggo mi si aprono voragini intorno
Cees Nooteboom, Il canto dell’essere e dell’apparire – perché in questo momento l’ho visto e mi è venuta voglia di rileggerlo
Ignazio Silone, Fontamara – perché lo lessi da ragazzo e lo odiai per quanto era noioso, e poi lo rilessi da grande e mi scompisciai dalle risate per quanto era divertente
J. A. Baker, L’estate della collina – perché vorrei avere l’autore, chiunque sia, come maestro zen a educare il mio sguardo, mentre passeggio nei boschi dietro casa
Cacchio, sono già a dieci? Mi tocca fermarmi… E Nabokov, Manzoni, Gadda, Beckett, Proust…
Ho la faretra ancora piena, attenti.
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