Abbasso il saggismo saccente sul nulla

Alfonso Berardinelli ribadisce per l’ennesima volta la sua sacrosanta analisi letteraria:

Chi critica autori in attività e sul mercato viene trattato come un malevolo e pernicioso perturbatore del flusso commerciale […] La qualità poetica non è più percepita quasi da nessuno, neppure dagli esperti. L’aspirazione letteraria oggi più diffusa è un’altra: scrivere romanzi gradevoli o ripugnanti ma vendibili e premiabili. Eppure gli autori non sono più decine ma centinaia e non c’è critico, per quanto solerte, insonne e votato al sacrificio che possa venire a capo di tutto ciò che si pubblica. I premi servono a questo: a far credere che i romanzi siano pochi come una volta. Il guaio è che spesso i pochissimi romanzi premiati non valgono più dei moltissimi che restano sconosciuti.

Il ragionamento conduce a un elogio della critica, senza la quale, oggi più che mai, la letteratura nega sé stessa, all’interno del mercato.

Scroscio di applausi per la geniale disamina.

Ma il punto è che da troppi lustri la lucida disamina non conduce a nulla. Si cavalca la lamentazione del critico, uno dei nuovi generi letterari dei nostri tempi (l’altro è quello rappresentato dalle immancabili pagine di ringraziamento che ogni narratore aggiunge al proprio romanzo per lisciarsi editor, amichetti e compagnia bella ed esibire il simulacro di una società letteraria, a cui finalmente apparterrebbe). E con la scusa che si produce troppo non ci si espone su niente.

Sarebbe tanto difficile per il critico di oggi analizzare come si deve un paio di libri al mese, magari per stroncarne uno ed esaltarne un altro?

E allora spiattelliamoli un po’ bene i veri problemi da mettere sul tavolo:

  • la fiacchezza morale dei presunti critici, che cazzeggiano dandosi un tono, invece di mettersi a lavorare sui testi
  • la poca dimestichezza dei critici con i ferri del mestiere, per cui un giudizio convincente (stilistico, oggettivo, quindi automaticamente autorevole) non saprebbero comunque esprimerlo
  • la mancanza di strategia, con cui i critici sarebbero in grado di far ingoiare il loro lavoro anche al sistema pernicioso oggi (trovare un linguaggio nuovo, creare spazi alternativi, entrare discretamente ma con forza nei luoghi che contano, navigare il web di bolina)

Chi si metterà, testa bassa, a raspare nel marasma di romanzetti compiacenti lanciati con enfasi o miriadi di versi tutti uguali, appena increspati da qualche felice immaginetta, ma senza una potente visione della vita e del mondo a reggerne il fiato?

Chi parla, sia chiaro, ha già fatto la sua parte (e ne paga le conseguenze) – ma va bene così, tanto, all’occorrenza, non mi tirerei indietro.

Abbasso il saggismo saccente sul nulla.

Evviva la critica che ti sbrana, sbaraglia i numeri del mercato, mostra il torsolo di una poetica, costringe un autore a fare i conti con il suo destino.

Rinuncerei a diecimila lettori, per un critico vero.

(L’opera scelta come copertina è di Lorenzo Perrone.
Cliccare sull’immagine per la visualizzazione completa)

 

 

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