Italia ’57 (una fotografia)
Questa poesia, tratta da Il cielo di Marte, è un testo a me particolarmente caro, perché nasce da una fotografia (qui riprodotta come copertina) attraverso la quale mi rispecchio in mio padre – per misurare la distanza, ovviamente, anche nel momento in cui collassa nella somiglianza…
Fa riferimento nello specifico alla fabbrica di rubinetti di San Maurizio d’Opaglio e incide la mia poetica, come accennato qui, nelle postille.
ITALIA ’57 (UNA FOTOGRAFIA)
Un piccolo locale (l’officina
del secolo!) sottratto
all’uso agricolo, in mezzo a ginestre
sterpaglie brugo ed erica
’57. Anni Ruggenti, recita
la legenda con tono da leggenda.
È quasi una cucina:
tra piccole finestre
due banchi apparecchiati per merenda,
un ragazzino sorpreso nell’atto
di ridere all’obiettivo in un gioco
nuovo, venuto anch’esso dall’America
Invece alle pareti sono appesi
oggetti un poco strani,
pinze punzoni pettini e palette,
l’attrezzo per la sabbia
nelle staffe – poi oliatori, conchiglie
con spine riduttrici, poi compassi
per le anime e altri arnesi
sparsi. Chi non si mette
a soffiare grafite mangia i sassi.
Se hai polmoni da uomo e buone mani,
ottone o migliarolo: non c’è scelta.
È buona per il forno anche la rabbia
Padri e figli così stanno fissati
con frastuono a una brida,
attorno al tornio girano le vite
o in fonderia: qui colano
dentro a una tazza fino a quando è sera,
nella brughiera… (E adesso, innanzi a questi
uomini incorniciati,
con le mani pulite
come ti senti tu, cosa diresti
di vero per accogliere la sfida
del giovane che sbircia anche se timido?
La tua faccia e la sua sono una sola)
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