Gabriele Picco

Narrativa d’oggidì: Gabriele Picco

Gabriele Picco non è solo uno scrittore, ma anche un artista visivo e questa sua inclinazione particolare si percepisce nel rapporto che instaura con la pratica della scrittura, dalla scintilla iniziale al processo formativo.

Perché scrivi?

Per non annoiarmi, e perché in certi momenti mi fa stare anche molto bene.

Qual è il tuo scarto rispetto alla narrativa odierna?

Preferirei dirti tutte le “categorie” a cui credo di non appartenere, ma in realtà fare questi ragionamenti porta spesso a costruirsi dei confini che non desidero.

Indicami un ingrediente a te caro per l’elaborazione del capolavoro di domani.

Il capolavoro di domani non verrà scritto, ma dettato dall’autore e trasformato direttamente in film da un computer.

Strappa un angolo dalla tua veste perché ci si possa fare un’idea del tessuto: autocìtati.

Ti cito un brano dal mio ultimo romanzo (Cosa ti cade dagli occhi). È un’immagine a me cara, perché penso che rappresenti un po’ quello che fa lo scrittore, e più in generale l’artista, cioè cercare nella realtà quella chiave segreta che possa svelarci un mondo nuovo.

«Si ricorda, Gardone, di quando, accoccolato in un uovo, scoprì quanto fossero fragili le pareti del mondo, che andavano in frantumi con il becco, e che magia, dopo, scoprirne un altro di mondo. E forse nessuno lo sa, ma i gabbiani come lui volano sperando di trovare un giorno il tallone d’Achille del cielo, il punto esatto in cui, con la sola forza del becco, tutto si frantumerà di nuovo».

Come si forma un’opera nella tua officina?

Lavoro su più fronti, disegno, dipingo, creo sculture, oltre a scrivere, e spesso queste discipline si mescolano tra loro. Quindi capita che l’idea di un romanzo nasca da un’opera artistica. Cosa ti cade dagli occhi è nato da una scultura, che è poi quella che sta in copertina. Dopo averla realizzata ed esposta sentivo che l’idea non era esaurita, che poteva trasformarsi in qualcosa d’altro.

Mentre il titolo del mio primo romanzo (Aureole in cerca di santi) era quello di un mio disegno. In questo periodo sto avvicinandomi al mio terzo romanzo, e dopo alcune settimane in cui ho scritto decine di idee su un quaderno, pezzi di dialoghi e descrizioni di personaggi sul computer, adesso ho preso il mio portatile, l’ho prelevato dal mio studio per approdare in cucina.

Ci vado la mattina presto, tavolo bianco e sgombro, davanti una finestra che lascia intravedere un tronco di palma e un oleandro. Sembra che funzioni: sto cercando di estrapolare dalla massa sporca e puzzolente qualche pietra preziosa, se saranno abbastanza allora il romanzo comincerà sul serio, altrimenti dovrò sguazzare nel fango ancora per un po’. Cosa che mi fa penare, ma quando tutto sarà finito la gioia sarà immensa.

Qual è il tuo maggior cruccio, rispetto a quanto hai finora scritto?

Si può sempre fare meglio sotto ogni punto di vista, ma non è un cruccio, è una speranza.

La critica più intelligente che hai ricevuto diceva che…

Diceva che non si deve aver paura della palla quando si “calcia” di testa.

(L’immagine di copertina è tratta dal sito dell’autore)

 

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